Gli effetti della crisi economica mondiale si fanno sentire pesantemente anche in Uruguay: per il settimo mese consecutivo le esportazioni diminuiscono seguendo una tendenza preoccupante e facendo registrare fino ad ora un -17% rispetto al 2019. Il dato è stato diffuso dall’ultimo rapporto mensile di Uruguay XXI che sottolinea come la riduzione della domanda sia dovuta a una minore richiesta nei mercati internazionali -specialmente Cina, Europa e Stati Uniti- dei principali prodotti uruguaiani tra cui carne, cellulosa e soia ma non solo. Secondo le previsioni di diversi analisti questo 2020 farà registrare una diminuzione nelle esportazioni del 15%. Per un’economia che vive grazie a quello che vende al mondo sarebbe un colpo molto duro. Nei primi otto mesi del 2020 il volume d’affari delle vendite uruguaiane all’estero è stato di poco superiore ai 5 miliardi di dollari, mentre solo il mese di agosto ha fatto registrare 702 milioni di dollari con una caduta del 18,3% rispetto al mese di agosto del 2019. A pagare le conseguenze della crisi sono soprattutto le industrie del cuoio e della lana che sono crollate su base annua, rispettivamente, del 65% e del 62%. A soffrire, con una diminuzione del 32%, c’è poi la cellulosa, il principale prodotto uruguaiano venduto nel mondo dopo lo storico sorpasso avvenuto nel 2018 ai danni della carne che oggi limita i danni con un -15%. Completa l’elenco la soia con -19%, i latticini con -18% e il grano con -25%. Le uniche voci positive delle esportazioni del mese di agosto sono il malto e i sottoprodotti carnici che rispetto all’agosto del 2018 registrano, rispettivamente, una crescita del 10% e del 6%. Il rapporto di Uruguay XXI dedica poi un capitolo speciale alle piccole e medie imprese, il motore dell’economia uruguaiana oggi in grande affanno: costituiscono il 75% del numero totale delle imprese esportatrici e rappresentano il 7% del valore esportato. Si caratterizzano per la diversificazione dato che vendono una grande varietà di prodotti ma, come allerta Uruguay XXI, rispetto alle imprese più grandi hanno un rischio maggiore di abbandonare i mercati internazionali in periodi di difficoltà.

MATTEO FORCINITI