Il destino di un Paese racchiuso in 38 pagine. Sfogliando il "Piano italiano di ripresa e resilienza" presentato dal governo Conte, sorge spontanea una domanda: è tutto qui? Interrogativo più che legittimo visto che abbiamo passato gli ultimi mesi a ripetere che quella sul Recovery Fund è la partita della sopravvivenza per l’Italia e che il modo in cui verranno spese le risorse europee condizionerà la nostra forza economica nei decenni a venire. Noi però preferiamo costruire piuttosto che demolire. Non amiamo le polemiche, siamo abituati a risolvere i problemi. E allora anche sulla partita europea il nostro approccio non può che essere quello della concretezza, lo stesso ottimismo pragmatico che ci permette di mandare avanti da soli le nostre aziende.

Per deformazione professionale siamo portati a guardare il bicchiere mezzo pieno e dunque anche in questo caso ci piace pensare che tutt’a un tratto il governo abbia scoperto il dono della sintesi, che improvvisamente siamo diventati più stringati rispetto ai "prolissi" cugini d’oltralpe (il piano di rinascita francese "Relance France" si compone di 300 pagine ma soprattutto di un elenco dettagliatissimo di tutti i provvedimenti necessari). D’altronde si tratta di semplici linee guida e noi come tali le prendiamo in considerazione, fiduciosi che sia solo una base di partenza su cui impostare molto rapidamente un confronto franco con il tessuto produttivo italiano.

Anche perché siamo assolutamente concordi con i pilastri tracciati dal governo Conte: digitalizzazione, rivoluzione verde, istruzione, equità sociale e potenziamento della sanità. Obiettivi più che condivisibili, ma per adesso è solo un proclama facile a dirsi ma difficile a farsi. Prendiamo a modello la sezione che ci riguarda: quella sulle infrastrutture della mobilità. Questione dirimente per la competitività italiana liquidata in dieci laconiche righe. Ovviamente non basta, serve un elenco chiaro e puntuale di strade, viadotti, edifici e gallerie da sbloccare, grandi e piccole opere da manutenere.

Chiediamo un cronoprogramma con tempistiche chiare per ogni opera. Occorre fare in fretta, non possiamo più aspettare. Il nostro settore vale il 20 percento del PIL, è fatto di piccole e medie imprese che negli ultimi dieci anni hanno perso 600mila posti di lavoro con il sindacato praticamente assente, impegnato esclusivamente a scongiurare la chiusura delle grandi aziende. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. Le nostre proposte sono sul tavolo, le abbiamo presentate in audizione alla Camera: piano di manutenzione del territorio, un maxi-intervento di 5 miliardi per la rigenerazione urbana, una strategia per la digitalizzazione del settore edilizio, una politica fiscale strutturale che trasforma il superbonus del 110% in un incisivo strumento di lungo periodo.

È tempo di ascoltare le istanze dell’Italia che crea lavoro, di prestare attenzione alle voci più autorevoli di ogni settore. Per anni nel nostro Paese la competenza è stata trattata come uno stigma sociale, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi. Adesso bisogna cambiare: è chiaro a tutti che non possiamo più prescindere da una classe dirigente all’altezza della sfida europea. È un dovere che abbiamo nei confronti delle nuove generazioni. Sono proprio loro che pagheranno le conseguenze più dure della crisi. La priorità dunque è quella di investire sulla formazione e l’istruzione dei giovani, è questo il pilastro più importante per la ripresa italiana. Il Recovery Fund è un’occasione troppo importante, non possiamo più permetterci di sbagliare.

REGINA DE ALBERTIS

PRESIDENTE GIOVANI IMPRENDITORI EDILI ANCE