La necessità di una nuova legge elettorale, invocata dal Pd di Zingaretti prima del voto come una delle condizioni imprescindibili per sostenere il Sì al Referendum, ora di colpo sembra allontanarsi e non di poco. "I tempi non sono prevedibili", spiega uno dei colonnelli del segretario dem, "anche perché prima c’è da sistemare la questione dei collegi, stabilita dalla legge 51 del 2019, e questa la si fa sulla base dell’attuale legge elettorale entro i prossimi due mesi". Poi, "siccome vengono prima le questioni costituzionali", precisa la fonte, "la cosa più importante è il voto ai diciottenni, dove si è già fatta una lettura completa alla Camera e al Senato, e infine si andrà avanti con la riforma costituzionale della base elettiva del Senato e della riduzione dei delegati regionali chiamati a eleggere il presidente della Repubblica", a firma Federico Fornaro di Leu. Solo dopo tutti questi passaggi si penserà seriamente alla nuova legge elettorale.

Chi nel Partito Democratico durante l’estate ha parlato di nuova legge elettorale come correttivo al taglio dei parlamentari, sembra che lo abbia fatto perché preso dalla concitazione dell’avvicinarsi alla data del Referendum, da una parte non potendo sapere come il partito sarebbe uscito dalle elezioni Regionali, e soprattutto per dare una giustificazione dignitosa alla propria base e alla platea di elettori all’adesione a un provvedimento visto da tutti come una bandiera identitaria del Movimento 5 stelle. Adesso che la leadership di Zingaretti non rischia nulla, uscita fortemente rinvigorita dall’esito del voto regionale, la legge elettorale cessa di essere una necessità, o perlomeno una necessità impellente. Anzi, il timore di alcuni al Nazareno, siccome quasi mai nessun governo è sopravvissuto a un cambio di legge elettorale, è che mettendola sul tavolo dei temi di attualità politica, possa in qualche modo trasformarsi in un prodromo di elezioni imminenti, inciampo reso quasi impossibile dal goal delle elezioni dei questi ultimi giorni.

"Per fare bene la legge elettorale avremmo bisogno che passasse prima la riforma Fornaro", insistono dal Pd gli uomini che seguono da vicino il dossier. Proprio per questo nei prossimi giorni è in programma una riunione interna ai dem, ma l’umore che prevale è quello di raffreddare il più possibile eventuali dibatti politici su questo, men che meno quelli che coinvolgono l’opinione pubblica. "Si potrebbe anche rimandarla fino a dopo l’elezione del Presidente della Repubblica", sperano alcuni al Nazareno, facendo affidamento sull’ostruzionismo dell’opposizione, soprattutto Fratelli d’Italia, sul progetto di nuova legge elettorale proporzionale. Il Movimento 5 stelle ha sostanzialmente lo stesso atteggiamento: meglio rimandare a data da destinarsi per non smuovere le acque, ora meno tumultuose alla luce di regionali e Sì al Referendum, per la tenuta del governo.

L’unico che sembra voler accelerare è il deputato Giuseppe Brescia, non fosse altro perché è suo il testo della legge elettorale su cui il governo aveva trovato un primissimo punto di caduta e che ora sta seguendo il suo iter in commissione alla Camera. Lui, però, sostiene di non essere solo: "Ora sulla legge elettorale apriamo un confronto più ampio con le opposizioni". E spiega la sua prospettiva: "Lo avevamo già fatto prima di elaborare il testo base, ma la campagna elettorale per le regionali ha condizionato ogni discussione. Il dialogo deve ripartire. Dal referendum emerge una chiara volontà dei cittadini di cambiare le istituzioni".

Tuttavia quando chiediamo ad alcuni pentastellati una ipotetica data in cui si potrebbero votare la nuova legge, la risposta è emblematica: "Eh… prima c’è la riforma costituzionale di adeguamento in commissione, la Fornaro, poi c’è da aspettare il termine per gli emendamenti al testo preliminare del Brescellum, che però non è il testo che andrà in Aula…". Aprire il dibattito sulla legge significa scontrarsi sul tema delle preferenze, sulle quali il Pd è ad oggi freddissimo, quasi di ghiaccio, mentre il Movimento le invoca; e sulle soglie di sbarramento, con un pressing di Leu e IV per abbassarle, con la certezza di guastare gli animi degli alleati di governo, che invece attendono i fasti promessi dal Recovery Fund e non vogliono aggiungere ai due dossier caldi – Mes e modifica dei decreti Sicurezze – una terza miccia divisiva e potenzialmente esplosiva per la solidità dell’Esecutivo.

Maria Elena Capitanio