Dividersi non allearsi sembra essere diventato l’imperativo categorico delle forze politiche italiane. La rissa scoppia dappertutto come se il referendum e le regionali avessero dato il via per una corsa al litigio perenne. Scrive un lettore ad un giornale: "Forse a governare non saremo bravissimi, ma a braccio di ferro non abbiamo rivali". È questa, purtroppo, la realtà. C’è aria di scissione nel M5s. Beppe Grillo, padre nobile del M5s, dice addirittura addio al Parlamento: "sorteggiamo senatori e deputati", strilla in tv. All’assemblea del M5s convocata dopo il flop alle elezioni, Vito Crimi, il portavoce passeggero, diserta l’aula. Di Battista è in rotta. Pare se ne voglia andare insieme con altri 50 parlamentari che hanno votato no. Gli espulsi sono otto. Il presidente della Camera, Roberto Fico, si schiera con Luigi Di Maio contro il rottamatore che continua a ripetere che quella di domenica e lunedì è stata la più brutta delle disfatte per il Movimento. Tutto questo senza contare il rapporto con il Pd. Non c’è mai stata un’alleanza vera e propria fra le due forze di maggioranza. Ora le cose vanno ancora peggio. Nicola Zingaretti, forte del "suo" risultato alle regionali, ha presentato il conto. Vuole più potere, perché sono i Dem a menare la danza e non viceversa. Forse, però, il segretario dimentica che alla Camera e al Senato chi detta legge per numero di eletti sono i pentastellati. Ed allora come la mettiamo? Si cerca una mediazione e si chiede aiuto al premier. Però Giuseppe Conte non vuole sentir parlare di rimpasto. A lui la situazione va bene così come è. Non vuole dividere il potere con altri, quindi respinge ogni soluzione diversa. Dice no a Zingaretti vice presidente del consiglio e non è d’accordo con quanti invocano un rimpasto che darebbe più equilibrio all’esecutivo. Non si deve credere che sull’altra sponda , le cose vadano meglio. "Matteo Salvini ha perso le elezioni, se ne renda conto", tuonano i suoi "amici-nemici". Il capitano non ci sta e prova a elencare i numeri che sono aumentati pure nelle consultazioni di inizio settimana. Non basta, perché la maretta continua. Giorgia Meloni è tranchant: "Guiderà la coalizione chi ha preso più voti". Ecco un primo avvertimento. Non è il più cocente. È all’interno della Lega che volano gli stracci. Ora Salvini verrà coadiuvato da una segreteria politica che lo dovrà affiancare nelle scelte future. Vogliamo definirlo ridimensionamento o in quale altra maniera? Non si parla di scissione al pari dei 5Stelle, ma anche nel caso del Carroccio tira una brutta aria. Hanno perso in Toscana e in Puglia, cioè nei due capisaldi in cui Matteo si era impegnato al massimo. Le critiche arrivano anche dal fuoco amico. Berlusconi dice che si usano toni "troppo populisti". Mentre il governatore della Liguria, Giovanni Toti definisce Salvini un grande amico, però ha tutte le intenzioni di abbandonarlo a se stesso. I problemi del Paese? Sembrano passare in secondo piano nella speranza che non sia così. L’Europa ci aiuta con il Recovery Fund? Certamente, ma sui migranti è ancora elusiva. Sarà superato l’accordo di Dublino, ma per coloro che arrivano, il rimpatrio spetterà al Paese che li dovrebbe ospitare. Non prima di otto mesi: il che significa che per 180 giorni rimarranno in Italia nei centri di accoglienza che scoppiano. "La confusione è grande, ma non è seria", ammoniva Ennio Flaiano.

BRUNO TUCCI