La virulenza delle reazioni al caso Tridico dentro la maggioranza fanno pensare a malesseri da troppo tempo sedimentati, frenati, quasi rimossi. La legge del lockdown, lo stato d’emergenza hanno solo congelato tensioni che durano da mesi. E adesso diciamogliele due parole al presidente dell’Inps e giù Marattin (Italia viva) e molti esponenti M5s, già dentro una psicopatologia da Movimento apparentemente senza cura. Conte assente, Conte troppo presente durante i giorni dello stato d’eccezione, Conte solitario in una partita tutta sua con il ministro Speranza a tenere la barra della salute pubblica, elogiato in pubblico e in privato. E poi i soldi a pioggia, ma senza capire se effettivamente tutti i legittimi aventi diritto li hanno davvero presi, con una macchina dello Stato arrugginita e inefficiente che non sempre è stata capace di mettersi in moto spinta dall’emergenza e dalle necessità del Covid. Il presidente dell’Inps dovrebbe spiegare, ad esempio, perché ha avuto bisogno l’istituto di consulenze informatiche esterne per gestire il complesso meccanismo della cassa integrazione, come se un organismo pletorico e sin troppo abbondante non poteva dotarsi per tempo di queste competenze, Covid o non Covid, nell’epoca della (presunta) digitalizzazione totale (eppure il tempo c’è stato). Poi è del tutto legittimo che si sia alzato lo stipendio, anche perché l’impresa Inps non consente di vedere mai Sisifo felice. Ma sabato non ha tenuto banco solo l’Inps nel gioco di punture di spillo quasi quotidiano dentro la maggioranza, soprattutto dal dopo Regionali, perché a parte, timidamente, Luigi Di Maio, l’esito del referendum nell’alleanza non lo rivendica quasi nessuno. Quel siamo primi nelle regioni al voto ha consentito al Pd di menare la danza e pigiare sul rivediamo i decreti sicurezza, finanche riparlare dello ius soli (argomento che messo come priorità ha contribuito a far perdere al centrosinistra le ultime elezioni politiche). Il sondaggio di Pagnoncelli sul Corriere della sera di sabato non è proprio la fotografia di una marcia trionfale per i dem, così come, al contrario, dà un po’ d’ossigeno ai Cinque stelle, ancora, inspiegabilmente, sostenuti da un 18,6% nelle intenzioni di voto, con il Partito democratico poco sopra, al 19,3%. Eppure arrivati tardivamente allo slogan prima le persone (e invece prima, chi?) i dem sono in cattedra. E sabato, come se non fossero al governo, davanti alle migliaia di studenti, docenti, sindacalisti e qualche genitore riunitisi sotto la pioggia a Roma per protestare proprio contro il governo e la gestione della scuola, i democrat hanno fatto sponda. Zingaretti si è affrettato a dire che da quella piazza "arrivano richieste a cui il governo deve dare ascolto e risposte a cominciare dalla situazione dei precari", promuovendo gli Stati generali della Scuola per ottobre, forse. Anna Ascani, che all’Istruzione è viceministra, ha fatto sponda a Zingaretti sentenziando che "gli investimenti sulla scuola non sono più rinviabili", puntando anche lei sugli Stati Generali per ascoltare proposte e rilanciare idee sull’istruzione "nell’Italia di oggi e del domani". Nelle stesse ore Conte elogiava il lavoro della Azzolina e la ministra all’Istruzione riceveva un premio dalla Fidapa Bpw Italy (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari - International Federation of Business and Professional Women) per "la tenacia, tutta femminile, con cui al di là di ogni stereotipo ha ridato alla Scuola italiana la sua imprescindibile dimensione di socialità, affermando il principio costituzionale di una scuola aperta a tutti, garante delle pari opportunità e fulcro essenziale per la lotta al superamento di ogni disuguaglianza". Secondo Conte e la ministra sarebbero già stati investiti 7 miliardi sulla scuola, secondo il Pd, semmai fossero questi, non sono abbastanza e si deve fare di più. Sempre per stare sul punto l’ex sottosegretario dem all’Istruzione ora in Italia Viva, Davide Faraone, ha rimproverato qualche giorno fa la ministra Azzolina per non aver vigilato abbastanza affinché non uscissero pagine razziste su un libro di testo adottato in una scuola di cui si sono occupati i giornali. Capite bene che potremmo proseguire ad oltranza se mettessimo nel calderone la legge elettorale, il contenzioso Autostrade, il reddito di cittadinanza, la prossima Finanziaria... La Babele del Recovery Fund, per il momento mettiamola da parte. Tutti questi argomenti sono abbinati ad un altro tema tanto caro alla politica italiana, ad ogni latitudine, il rimpasto. Quella pratica che consente di cambiare uomini al comando senza cambiare nulla, ma che appagando certi appetiti fa ritrovare il sereno alle coalizioni precarie, come questa. E se ne parla meno ma il tema resta lì, anche se l’equilibrio delle impotenze non permette troppe arroganze. Italia Viva interessata ad un salto di qualità ministeriale, alla prima vera prova elettorale è tornata con la coda tra le gambe. Ma il tema resta ed è sembrato quasi liberatorio, per una volta trovarsi d’accordo, quando, sempre sabato, Conte ha annunciato la fine di quota 100. Renzi ha reagito come fosse un passaggio epocale, altri nel Pd hanno fatto notare che la misura sarebbe finita da sola nel 2022, altro che rivoluzione. Insomma, la prima vera prova per misurare la temperatura della maggioranza sarà il voto sulla mozione di sfiducia alla Azzolina, presentata dalla Lega in Senato (dove la maggioranza ha nel frattempo perso un voto dopo le suppletive). Apparentemente tutti compatti, ma su alcune questioni della scuola, come i precari, le parole di Salvini sembrano parecchio intercettare quelle del Pd e della sinistra (un sottosegretario di Si si è dimesso in piena estate dopo aver perso la battaglia, condivisa dai sindacati, per l’assunzione diretta di tutti quelli con tre anni di insegnamento nella scuola, essendo passata la linea Azzolina di tenere il concorso, le cui procedure saranno avviate questa settimana). I nodi sono questi, il resto è solo ipocrisia.