Lo dimostra uno studio appena pubblicato da The Journal of Infectious Diseases ed al quale hanno collaborato l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive "Lazzaro Spallanzani" di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di malattie infettive dello University College di Londra. Lo studio è stato ritenuto di grande importanza, tanto da ottenere l’immagine di copertina del numero del giornale. La ricerca ha analizzato gli esiti delle autopsie condotte su 22 pazienti deceduti a causa del COVID-19.

La causa di morte è stata per tutti l’insufficienza cardio-respiratoria, causata principalmente da danno polmonare acuto, danno microvascolare o trombosi; tuttavia l’analisi dei campioni prelevati durante le autopsie di pazienti morti per Covid ha evidenziato importanti alterazioni, oltre che di polmoni e cuore, anche a carico di fegato, reni, milza e midollo osseo. Diciotto dei pazienti sottoposti ad esame post-mortem, di età mediana pari a 76 anni (minima 27, massima 92) presentavano una o più comorbilità, come ipertensione, patologie cardiache, diabete, tumore, malattie respiratorie o renali; i rimanenti quattro pazienti, di età mediana pari a 48 anni e mezzo (minima 35, massima 65) non presentavano invece alcuna malattia sottostante. Dall’autopsia e dai successivi esami microscopici dei campioni sono emerse numerose alterazioni a carico degli organi analizzati. I polmoni di tutti i pazienti si presentavano aumentati di volume, edematosi e congestionati, con ispessimento pleurico diffuso e versamento pleurico. Nei campioni polmonari è stata inoltre dimostrata una significativa sovraregolazione del recettore delle citochine CXCR3, il che porta ad individuare proprio in questa citochina un potenziale bersaglio terapeutico per i futuri trattamenti. L’analisi condotta sul cuore dei pazienti ha evidenziato un incremento delle dimensioni e del peso, ipertrofia e dilatazione degli atri e dei ventricoli, sia destri che sinistri. La letteratura scientifica disponibile ha evidenziato che i problemi cardiaci pre-esistenti sono un fattore di rischio per i pazienti COVID-19, ma la ricerca ha evidenziato nei quattro pazienti senza fattori di rischio pre-esistenti una accentuata pericardite e infiltrazioni di cellule infiammatorie, indicando che la malattia può compromettere la funzione cardiaca anche nei soggetti sani. Circa il 30% dei pazienti esaminati ha evidenziato lesioni ai reni, in prevalenza tra i pazienti con comorbilità. Lo stesso fenomeno è stato osservato nell’analisi del fegato: anche in questo caso i pazienti affetti da Covid che avevano fattori di rischio pre-esistenti hanno evidenziato lesioni epatiche più pronunciate. Saranno tuttavia necessari ulteriori studi per verificare se le lesioni renali ed epatiche siano effetto diretto dell’azione del virus, oppure dell’eccessiva e anormale risposta infiammatoria innescata dal sistema immunitario. L’analisi della milza ha evidenziato in tutti i pazienti una riduzione del volume e delle dimensioni, mentre l’analisi al microscopio del midollo osseo ha evidenziato, in particolare nei pazienti con comorbilità, una prevalenza del midollo giallo ricco di adipociti sul midollo rosso ematopoietico. In conclusione, quello delle autopsie dei deceduti per COVID-19 è un campo di ricerca sinora poco frequentato sia per l’emergenza vissuta negli ospedali di tutto il mondo che per le oggettive difficoltà di operare in sicurezza gli esami post-mortem su pazienti altamente contagiosi; certamente pero’ dalle autopsie può venire un contributo decisivo nel capire meglio i tanti e ancora poco conosciuti meccanismi dell’interazione tra il SARS-CoV-2 e l’ospite umano.

È opportuno quindi che, soprattutto in una fase nella quale le strutture ospedaliere non sono più sotto pressione come nei mesi peggiori della pandemia, venga data la priorità a studi autoptici completi su tutto il corpo, cercando di segmentare le analisi per provenienza geografica, età, gruppi etnici, comorbilità.