Le elezioni del 3 novembre saranno tra le più contestate della storia americana, dopo una campagna elettorale davvero unica per moltissimi aspetti. L’alta incidenza del voto postale, solitamente ininfluente nelle precedenti elezioni presidenziali. Un presidente ammalato e ricoverato a pochissime settimane dal voto. Ma in generale lo sconvolgimento del coronavirus, come ci chiedevamo proprio su Huffpost già nel febbraio scorso, con a quel tempo solo una cinquantina di casi di Covid-19 negli Stati Uniti: "Cosa accade per Trump se il virus si diffonde negli Usa?".

Ora abbiamo la risposta. Lasciamo da parte i sondaggi, molti dei quali contraddittori e inattendibili, come del resto abbiamo spesso visto in passato, soprattutto nel 2016. La complessità del sistema americano, il computo dei grandi elettori Stato per Stato, le differenti tempistiche secondo cui in uno Stato si più votare per posta settimane prima e in altri no, alcuni Stati dove con l’early vote si può votare in presenza già da ora e in altri no, e poi le diverse volte in cui un presidente è stato eletto da una minoranza, tutti fattori che lasciano aperta ogni prospettiva possibile. E i sondaggi basati sui voti totali assoluti del candidato che valgono zero, perché i cittadini scelgono solo i grandi elettori Stato per Stato. Vi è poi, tra le singolarità, lo stesso Donald Trump che divide e polarizza. Secondo CBS News/Yougov se si domanda agli elettori il perché votino Joe Biden, per ben il 52 per cento la ragione è che non vogliono Trump. Soltanto il 26 per cento vota Biden perché sono convinti dalle sue proposte politiche. Viceversa, il 64 per cento di chi vota per il tycoon newyorkese lo fa coscientemente in quanto lo vuole ancora alla Casa Bianca. Chi lo vota perché non vuole Biden è soltanto il 17 per cento. Un vero e proprio referendum Trump Sì o Trump No. In questi giorni Rudy Giuliani è stato scelto dal presidente Trump come responsabile delle eventuali battaglie legali post-voto, scelta che si aggiunge alla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema. In realtà, malgrado molti americanisti all’amatriciana parlino di questioni post-voto irrisolvibili, grandi incertezze e così via, la situazione è molto lineare. Tutti hanno dimenticato il caso deciso dalla Corte Suprema, Bush v. Gore, 531 U.S. 98 (2000). L’8 novembre 2000 il comitato elettorale della Florida aveva comunicato la vittoria di Bush nello Stato per meno dello 0,5 per cento dei voti. Al Gore chiese allora un riconteggio delle schede, ma non potendo il riconteggio terminare entro i limiti di legge, iniziò l’azione legale. Il 9 dicembre la Corte Suprema fermò il riconteggio dei voti che stava avvenendo in Florida, e il 12 dicembre Bush si vide attribuiti i 25 grandi elettori che lo portarono alla Casa Bianca. Oltre un mese dopo le elezioni, ma rispettando la scadenza della riunione dei grandi elettori. Esistono infatti negli Stati Uniti tempistiche molto precise. Quest’anno entro lunedì 14 dicembre qualsiasi azione legale venga presentata nei singoli Stati deve essere conclusa. Il motivo è che il collegio dei grandi elettori, che appunto eleggono il presidente, si deve riunire per legge il primo lunedì dopo il secondo mercoledì dell’ultimo mese dell’anno in cui si vota. Cosa succede se la Corte Suprema per tale data non avesse preso una decisione finale riguardo i possibili ricorsi presentati? È una ipotesi molto remota, diciamo pure irrealistica, ma abbiamo visto che quest’anno tutto è accaduto e tutto può ancora accadere.

In questo caso interviene il XII emendamento che risale al 1804, che trasferisce l’onere dell’elezione del presidente degli Stati Uniti alla Camera dei Rappresentanti. La maggioranza della Camera in quella data sarà ancora probabilmente democratica, ma attenzione. In questo specifico caso la Costituzione americana prevede che si voti secondo delegazioni statali, un po’ come al Senato. Vale al dire che ogni Stato conta allo stesso modo e ogni Stato vale uno, sia che abbia la popolazione del Nord Dakota di 700 mila abitanti e 3 grandi elettori, o che sia la California con i suoi quasi 40 milioni di abitanti e 55 grandi elettori. Quindi diventa presidente chi ha l’appoggio del maggior numero di Stati. In questa circostanza i repubblicani hanno la maggioranza e rieleggerebbero con ogni probabilità Donald Trump. Senza rivoluzioni o guerre civili, ma semplicemente applicando le norme della Costituzione approvate due secoli or sono.

CORRADO MARIA DACLON. DOCENTE DI GEOPOLITICA, FONDATORE E SEGRETARIO GENERALE DELLA FONDAZIONE ITALIA USA

L'articolo è tratto da Huffington Post, ecco il link:

https://www.huffingtonpost.it/entry/il-presidente-usa-sara-scelto-dal-congresso_it_5f884cdec5b6e9e76fbae2e9