Un’invasione. Quotidianamente imperversa da mesi, su tutti i media, un esercito di virologi epidemiologi scienziati e specialisti vari (oltre a sedicenti esperti improvvisati, la cui affidabilità di solito è inversamente proporzionale ai decibel delle urla con cui si esprimono). Più che informazioni, spesso ne risulta uno spettacolo di invettive acrimoniose o di risse pensate strizzando l’occhio all’audience. In ogni caso, poche verità e tanta incertezza. Col risultato che la preoccupazione dei cittadini per la diffusione del virus diventa sempre più paura, e che alla accettazione consapevole delle necessarie cautele di sicurezza si sostituisce spesso il panico. Peggiora la situazione il fatto che paura e insicurezza, invece di essere considerate mali da curare, sempre più frequentemente vengono sfruttate come opportunità di investimento. In particolare ad opera di chi fa leva sulla sempre verde ostilità verso gli stranieri, presentandoli come veicolo di malattie importate sul nostro patrio suolo. Ed ecco che invece di governare la paura, si finisce per restarne governati, nel senso che oggi (molto spesso) è la paura a dettare le scelte della politica: con evidenti rischi di errori di prospettiva e di spiacevoli derive. In questo modo la sicurezza rischia di diventare una specie di totem. Nel senso che, se da problema che si deve risolvere, si trasforma in opportunità da piegare ai propri interessi, facilmente avremo un’indignazione di facciata: quindi non riforme vere, ma più che altro gesti simbolici o rassicuranti. E soprattutto (magari senza rendercene conto) impariamo a vivere nell’ostilità e nel sospetto verso tutto e tutti, senza oltrepassare il recinto dei nostri interessi particolari, relegando in qualche angolo l’attenzione al bene comune. Ma vivere egoisticamente - e sempre "in cagnesco" con gli altri - peggiora la qualità della vita, sia nostra che collettiva. Va inquadrata in questo contesto l’accusa, spesso rivolta al Governo Conte, di attentare alla Costituzione violandone in particolare gli articoli che presidiano la libertà personale, di circolazione e di culto. Come in ogni vicenda umana, anche in quelle che riguardano la politica del Governo ci sono luci e ombre. Da un lato sostanziale apprezzamento per come si è fatto fronte alla caterva di guai di questi orribili tempi ; dall’altro però anche incertezze, scivoloni e ritardi. E tuttavia non si può disinvoltamente sostenere ( com’è invece accaduto), che neanche ai tempi del terrorismo la Costituzione era stata così "violentata". Lucciole per lanterne! La Costituzione è un patto sociale fra uomini diversi ma egualmente liberi, basato sul principio di legalità, cioè sul rispetto di regole, uguali per tutti, necessarie per stare insieme con reciproco rispetto e solidarietà. L’osservanza delle regole é precondizione per una convivenza civile degna di questo nome. E’ a questo "supporto etico della legalità" che si richiamano le regole - pesanti ma necessarie – dirette a contenere e infine debellare il Coronavirus per garantire non solo la convivenza ma addirittura la sopravvivenza della comunità. Dunque, nessuno sfregio alla Costituzione, anzi. Sostenere il contrario equivale a ragionare chiusi nel chiostro del proprio cervello, senza capire che la legalità (l’osservanza delle regole, anche quando "fastidiose") è un cardine della Costituzione, mentre per qualcuno sembra ancora essere roba per marziani. Penso (parafrasando Massimo Donini) che il nostro sia ancora qualificabile come uno Stato di diritto. Nel contempo rilevo che esso - per effetto del Covid - tende ad assumere anche i caratteri di uno "Stato di prevenzione". Proprio su questo versante occorre massima attenzione, per evitare che il clima di paura/insicurezza (con il corredo delle turbative che potrebbero derivare dalle scorribande di qualche "condottiero" lanciato in campo aperto) possa indurre ad interventi finalizzati a tranquillizzare la paura, prima ancora che a neutralizzare rischi e pericoli della pandemia. Al dunque: sono realtà causate dal virus l’intrusione dello Stato nello spazio di autonomia dell’individuo (perché considerato, sotto alcuni profili, alla stregua di un rischio potenziale che deve essere controllato); e la riduzione della privacy, vista come un bene che in una certa misura deve cedere alla necessità di garantire la sicurezza collettiva. Ma sono realtà che sarebbe suicida non accettare. Vigilando, ben s’intende, perché restino circoscritte all’ambito di stretta necessità, escludendone ogni uso esorbitante (e/o illusorio). In ogni caso le decisioni vanno prese in base ad un vero progetto, ascoltando tutte le voci, in modo da contrastare il clima avvelenato che grava sul paese. La sicurezza contro la pandemia è un bisogno collettivo, un diritto. Farne soltanto una parola d’ordine, o una parola magica, sarebbe sbagliato e pericoloso.

GIAN CARLO CASELLI