Si temono più gli "arresti domiciliari" o la crisi economica? Sono giorni decisivi quelli che stiamo vivendo, perché il governo è stretto fra Scilla e Cariddi. Se Giuseppe Conte decide di chiudere tutto il Paese come nello scorso inverno molti milioni di italiani subiranno le stesse sofferenze e dovranno combattere le proverbiali sette camicie se vorranno mettere insieme il pranzo con la cena. Se, al contrario, non aprirà al lockdown, il pericolo è la nostra salute. Infatti, i contagi aumentano, la curva dell’epidemia non si ferma. Ieri il male ha avuto un nuovo picco (16.079) e i decessi sono stati 136. I virologi non nascondo le loro preoccupazioni, sostengono che la situazione è grave e si deve avere più coraggio nelle scelte. Vuol dire che l’esecutivo non deve temporeggiare e prendere subito provvedimenti senza il minimo dubbio? Questa è la loro opinione, almeno per la maggioranza. Ma il premier prende tempo perché se poi il "coprifuoco totale" non dovesse dare quei risultati che gli scienziati si aspettano per il governo sarebbero guai seri. Le opposizioni darebbero battaglia e avrebbero facile gioco, la gente perderebbe la fiducia in quel presidente del consiglio che finora ha avuto una grande popolarità. Quindi, decide di aspettare. "Come al solito", si tuona da destra. "Siamo al cospetto di una squadra che ha dimostrato di non saper guidare il Paese". Certo, la confusione regna sovrana perché le forze politiche invece che trovare un accordo e respingere l’attacco del virus, continuano a dilaniarsi fra di loro. "Il tavolo dell’unità è vuoto", scrive in un editoriale Stefano Folli. E’ la verità, purtroppo. Se infatti maggioranza e opposizione gestissero insieme la lotta al Covid forse si raggiungerebbero molto più in fretta quei risultati che tutti, nessuno escluso, si augurano Al contrario, sono le città a creare un avamposto e i presidenti di Regione a emanare ordinanze di chiusura. Roma, Napoli, Milano hanno fatto la prima mossa, altre si accoderanno, perché la situazione si è fatta insostenibile e la paura che la pandemia non abbia confini fa tremare giustamente la gente. I dubbi e le perplessità del premier si basano sul fatto che la crisi economica avanza, molte imprese grandi e piccole sono con l’acqua alla gola e chiedono il sostegno dello Stato. Un esempio emblematico: sapete quanto perde Milano in una notte di coprifuoco? Due milioni tondi, tondi di euro. Non è cosa di poco conto e quindi la prudenza dell’esecutivo si può comprendere e anche giustificare. Quel che, invece, non si perdona al Palazzo è la leggerezza con cui hanno fatto trascorrere tanti mesi senza intervenire in modo adeguato. Tutti sapevano alla fine di maggio che in autunno la pandemia avrebbe ripreso a pieno ritmo e che con la riapertura delle scuole e il rientro in città delle famiglie andate in vacanza il Covid avrebbe ripreso la sua corsa. E’ questa leggerezza che ora indispettisce l’opinione pubblica impaurita dai numeri in crescendo. Perché, due volte perché, si è rimasti in attesa certi che il male era ormai sul viale del tramonto? Come mai non si sono prese quelle contromisure auspicate dal comitato tecnico scientifico? Al contrario, il premier e i suoi ministri non hanno visto più lontano del loro naso ed oggi ne paghiamo le amare conseguenze con la presente crisi. Inutile piangere sul latte versato. La smettano destra e sinistra di dividersi sui miliardi del MES o sui danari che dovrebbero arrivarci con il Recovery Fund. Il Paese è allo stremo, vorrebbe, anzi vuole che gli uomini da lui eletti compiano insieme tutti gli sforzi necessari per uscire dal tunnel.

BRUNO TUCCI