Perché ha perso Trump? E perché ha vinto Biden? Quale settore della società americana ha spostato l'ago della bilancia verso il candidato dem? Dove ha preso i voti decisivi Biden? Le donne, i giovani, gli afro-americani? Black Lives Matter?

Sin da prima della fine delle operazioni di conteggio, i commentatori si sono cimentati nella interpretazione dei risultati, molto spesso scambiando le proprie aspettative e pregiudizi con la realtà. I dati, del resto, vanno maneggiati con cautela perché sono provvisori e richiedono analisi più approfondite. Quelli del 2016 vennero rivisti più volte nei mesi successivi alle elezioni.

Intanto la sinistra americana ha iniziato, con contenuto ma evidente ottimismo, a far sentire la propria voce. La base 'democratica' di sinistra, non necessariamente interna al partito, ha favorito Biden. E dunque, sostengono Noam Chomsky in una intervista a la Repubblica, Naomi Klein in una intervista all'indipendente Haymarket Book e il New York Times in numerosi articoli, attende ora di essere ascoltata e ripagata da una politica di radical direct state response to public crisis.

La dem progressista Alexandria Ocasio Cortez si è detta convinta che Biden abbia compreso bene il ruolo che le minoranze—le comunità ispanica e afro-americana, il movimento LGBQT e ambientalista—hanno assunto nella campagna elettorale e dunque non li tradirà. Il movimento femminista ripone altrettante aspettative nel ticket Biden-Harris: c'è finalmente una donna (pure figlia di immigrati) alla vicepresidenza degli Stati Uniti che può finalmente riaccendere quel Sogno Americano che per molte/i era diventato un incubo. E infine la comunità afro-americana—che in realtà ha votato più contro Trump che a favore di Biden—si aspetta il cambio di rotta dopo anni di razzismo tollerato, se non proprio avallato, dal presidente.

C'è evidentemente del vero e del giusto in molte analisi e nelle richieste della base democratica. Ma c'è un elemento che sembra sfuggire a molti commentatori, soprattutto europei, e che invece merita almeno un supplemento di indagine.

Joe Biden sarà il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, sessant'anni dopo John Fitzgerald Kennedy. Il fattore religioso non è un elemento di conto poco nella politica americana, come notò Tocqueville già alla meta dell'Ottocento. Forse è il segreto meglio tenuto della politica americana: chi vince il voto cattolico vince pure le elezioni presidenziali. É accaduto 12 volte su 15, dopo la vittoria di JFK, che i cattolici hanno votato in maggioranza per il vincitore, mentre tre altre volte si sono divisi esattamente a metà. Reagan, Clinton, Bush, Obama e Trump riuscirono a vincere il voto cattolico in elezioni importantissime e combattutissime.

Nel discorso della vittoria, Biden ha pronunciato parole concilianti, di unità, e d'amore, costellate di allusioni bibliche, prima di concludere con un popolare inno cattolico, On Eagle's Wings, ispirato dal Salmo 91. In campagna elettorale Biden non aveva trascurato affatto il fattore religioso. Come quando, nel primo dibattito presidenziale, aveva accusato Trump e i suoi di 'look down on Irish Catholics like me'. O come quando a settembre 2020 aveva invitato gli americani a 'non avere paura' con le parole di Giovanni Paolo II. E infine come quando una settimana prima delle elezioni, a Warm Springs, Georgia (la città in cui Franklin Delano Roosevelt morì), aveva citato la recente enciclica di papa Francesco, Fratelli Tutti.

I tempi sono enormemente cambiati dagli anni Sessanta del Novecento. Kennedy doveva convincere l'America che eleggere alla Casa Bianca un cattolico era accettabile per l'interesse della nazione e per la difesa della democrazia. 'Io non sono il candidato cattolico alla presidenza, io non rappresento la Chiesa cattolica nella vita politica e in quella Chiesa non c'è nessuno che rappresenti me', così JFK disse e si difese in un discorso pronunciato poco prima delle elezioni. Kennedy doveva lottare contro il pregiudizio anti-cattolico estremamente diffuso tra i protestanti. Gli evangelici vedevano in Richard Nixon la barriera protestante contro un cattolico la cui fedeltà alla nazione americana era dubbia.

Biden ha radici irlandesi e cattoliche simili a quelle di JFK. Pare che la fede lo abbia aiutato ad affrontare gli innumerevoli, devastanti lutti della sua vita personale. La sua agenda politica non può certo essere definita cattolica—a partire dalla sua scelta a favore dell'aborto— e dunque in campagna elettorale doveva convincere l'opinione pubblica, gli intellettuali cattolici dell'influente rivista First Things, e ampi settori della gerarchia di essere davvero un cattolico in piena regola.

Lo scoglio insormontabile, dal punto di vista cattolico, rimane l'aborto. La questione è materia centrale e infuocata nella politica statunitense—a partire dalla nota sentenza della Corte Suprema Roe v. Wade (1973). È la questione per eccellenza per un cattolicesimo come quello americano decisamente conservatore, intransigente e lontano dalle posizioni progressiste di papa Francesco.

Negli ultimi sessanta anni il voto cattolico (soprattutto quello della classe operaia e di componenti etniche come gli irlandesi) si è spostato dai democratici ai repubblicani, prima a causa della  mobilità socio-economico ascendente della comunità cattolica e poi, più marcatamente, quando la scena pubblica sono arrivati i temi della moralità sessuale e le questioni dell'inizio e fine vita.

Per i cattolici americani—come del resto per gli evangelici—l'aborto è questione di massima priorità, non negoziabile, squalificante. Il voto cattolico per un candidato a favore dell'aborto è altamente improbabile, forse come un ipotetico voto a favore di un ipotetico membro nel partito comunista che, durante la Guerra Fredda, avesse pensato di correre per la Casa Bianca. Nel 2004 a John Kerry venne rifiutata la comunione. E nei circoli cattolici, alla vigilia delle ultime elezioni 2020, si sussurrava che chi avesse votato democratico sarebbe andato all'inferno. Come votare per i comunisti nel 1948 in Italia.

Donald Trump, dal canto suo, ha inseguito senza sosta il voto cattolico. La nomina della cattolica conservatrice Amy Coney Barrett alla Corta Suprema—dopo la morte di Ruth Bader Ginsberg, campionessa dei diritti delle donne—aveva, tra molti altri, anche questo scopo. A fronte delle obiezioni democratiche sui gravi problemi procedurali della nomina, Trump si è appellato ai cattolici facendo sembrare quelle obiezioni come una ennesima espressione di anti-cattolicesimo.

Biden ha insistito in campagna elettorale su temi come la giustizia sociale, l'ambiente, l'immigrazione, i rifugiati, la sanità per tutti, declinandoli come eminentemente cattolici e ispirandosi alle parole e all'approccio di papa Francesco. Ha evitato del tutto, invece, la questione dell'aborto. Era come se invitasse i cattolici a pensare che c'è un modo diverso di essere cattolici.

Ma insomma, come è andata? Come hanno votato i cattolici? I cattolici costituiscono il 22 per cento degli elettori americani. L'esistenza di un 'voto cattolico' completamento omogeneo è forse un mito, perché alle religione si sovrappongono fattori razziali e etnici.

Storicamente, i cattolici americani bianchi (come Biden) hanno una cultura diversa e votano in maniera diversa dalla enorme comunità cattolica ispanica—molto diversificata al suo interno—e da quella (molto più piccola) cattolica afro-americana. Ma il mito possiede elementi di verità. E in una elezione in cui il margine tra i candidati è stretto, quel 22 per cento di elettorato potrebbe essere stato decisivo, soprattutto in Pennsylvania o in altri stati della Rust Belt, come del resto prevedeva The Atlantic pochi giorni prima del voto. Dati preliminari—e dunque tutti da confermare e approfondire—offrono indicazioni interessanti. Nel 2016, secondo le indagini del Pew Research Center, il 61% per cento dei cattolici bianchi votò per Trump e il 31% per Hillary Clinton—un margine che contribuì in maniera significata alla inaspettata vittoria del tycoon. Quest'anno, secondo le prime stime, Biden avrebbe fatto molto meglio.

Certo, molti cattolici hanno continuato a votare per Trump, presumibilmente per la questione dell'aborto. Ma secondo una prima indagine condotta dal NORC (National Opinion Research Center) dell'Università di Chicago per l'Associated Press, Biden ha perso il voto cattolico bianco con un margine minore rispetto a quattro anni fa (57% a 42%) ma ha sconfitto sonoramente Trump tra i cattolici ispanici (67% a 32%).

Questi voti potrebbero essere stati determinanti in Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Arizona e Nevada. Nel complesso, secondo queste preliminari ricerche che dovranno essere sostanziate da ulteriori analisi, i cattolici si sarebbero divisi equamente: 50 a 50. Se il dato venisse confermato, rispetto al 2016 ci sarebbe uno spostamento significativo e tale da determinare la vittoria di Biden. Biden ha vinto le elezioni grazie al voto cattolico? È troppo presto per dirlo.

L'esito elettorale è la risultante di molteplici fattori, incluso i fallimenti dell'amministrazione Trump nel fronteggiare l'emergenza pandemica. In molti potranno continuare a dire di aver avuto un ruolo importante nel successo di Biden. Ma il fattore religioso non può essere trascurato. Di certo—nonostante i molteplici dubbi interni al mondo cattolico—la cattolicità di Biden cosi fortemente intrisa di giustizia sociale è stata un elemento importante, se non proprio determinante, della sua vittoria.

E mentre già si scatenano le reazione dei cattolici conservatori al nuovo presidente cattolico ma favorevole all'aborto—reazioni importanti perché possono aiutare a riflettere sull'ascesa del nazionalismo religioso negli Stati Uniti e altrove—rimane tutta da scoprire in quale direzione andrà la politica cattolica, non solo in America, nei prossimi anni. Con il secondo presidente cattolico alla Casa Bianca sessanta anni dopo JFK, questioni come la modernità cattolica nel ventunesimo secolo, il cattolicesimo globale e il nesso tra il papa gesuita e la politica mondiale si apre a nuove, imprevedibili prospettive.

R. Forlenza e B. Thomassen