di Ugo Magri

 

Causa il declino degli ultimi mesi, Matteo Salvini non ha più la forza di imporsi ai suoi alleati, ha smarrito un po’ dell’ascendente e i risultati sono sotto gli occhi: nel centrodestra si recita a soggetto, in mancanza di una regia domina l’improvvisazione.​

 

Il genio dell’imprevisto è senza dubbio il Cav che, senza concordare nulla, ha avviato un ciupi-ciù con il governo sotto l’alto patronato del Quirinale. Né si è premurato di informare i partner sulla norma salva-Mediaset, spuntata come un fungo nelle notti di plenilunio: sul piano politico e personale, un’autentica cafonata.​

 

Ma scagli la prima pietra chi in passato non ha fatto altrettanto. Coi Cinque stelle la Lega è andata addirittura al governo, perdendo il diritto di dare lezioni agli altri. L’antica Casa delle libertà ormai da tempo s’è trasformata in casino, tra liti sulle candidature, gazzarre populiste, rincorse in avanti e fughe all’indietro. L’unico vero collante che tiene unita la destra è lo scorno di trovarsi tutti insieme all’opposizione, fuori dalla porta al freddo mentre dentro si svuota la dispensa.​

 

Perciò ha ragione Salvini quando vuol mettere ordine, proponendo di dar vita a una federazione tra Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega con l’obiettivo di coordinare le mosse. Per esempio prima di avviare una trattativa con il governo sui ristori anti-Covid o in prospettiva quando si tratterà di eleggere il prossimo presidente della Repubblica. È l’uovo di Colombo, c’è da stupirsi che da quelle parti nessuno ci avesse pensato prima.

 

Però c’è un problema: qualunque federazione presuppone un progetto, per piccino che sia. Richiede obiettivi comuni e regole condivise. Ha bisogno di uno statuto dove si stabilisca ad esempio chi prende le decisioni, come dirimere le controversie, cosa diavolo fare se qualcuno rompe le righe. In una federazione andrebbero coordinati i gruppi, tanto alla Camera quanto al Senato; moderati gli appetiti a livello locale. Non è impresa da poco tenere insieme partiti rivali, parenti serpenti, con Giorgia Meloni che ha già messo la freccia del sorpasso e a ogni giro di pista sta tentando di scavalcare la Lega. Una federazione degna del nome non potrebbe rinunciare a sciogliere certi nodi, incominciando dalla collocazione europea. È impossibile che riescano a coordinarsi come si deve tre partiti appartenenti ad altrettante famiglie politiche: Silvio che sta coi Popolari di Frau Merkel, Giorgia con i Conservatori Ue (ne è diventata la numero uno), Matteo appollaiato sulla curva ultrà insieme con la Le Pen e con i nipotini del Führer. Hanno divergenze abissali sull’America, sulla Russia, su Erdogan, sull’euro, sul sovranismo; per federarsi dovrebbero chiarire un tantino le idee, rivedere i programmi, ragionare a fondo sui grandi temi del millennio e, una volta scavato, trovare la quadra. Poi c’è tutto un discorso che riguarda lui, Salvini.

 

Se davvero vuole fare il federatore, deve prima togliersi il berretto da Capitano. Finché lo terrà in testa, Berlusconi e Meloni avranno il sospetto che la proposta di federazione sia soltanto un marchingegno per metterli in soggezione, una scusa per annettersi i rispettivi partiti; dunque si mostreranno freddi (come già sta avvenendo). Tra liberi ed eguali l’arroganza è un ostacolo, la sottomissione non può essere contemplata. Ne consegue che Salvini, per promuovere l’unità della destra, dovrà cambiare atteggiamento, cioè se stesso. Investendo sugli alleati, valorizzandone le qualità, facendosi concavo e convesso come capitava a Berlusconi quando era lui a guidare: non gli piaceva ma fu costretto. Anche Matteo sarà obbligato a rispondere quando lo chiamano per telefono senza farsi attendere per settimane. Mai più reazioni di pancia come quella dell’altro giorno quando, per vendicarsi dello sgarro su Mediaset, ha rubato tre «berluscones» minacciando di prenderne altri. Mettere in piedi una federazione presuppone rinunce a vantaggio degli alleati, sottintende atti di generosità che in politica, come nella vita, non sempre vengono ricambiati. Finora Salvini non si era mai cimentato in un’impresa del genere. Più che da federatore, s’era comportato da federale con il fez e l’orbace. Ma d’ora in avanti dovrà scegliere: tra restare il capo o diventare a tutti gli effetti un leader.