Se Francesco è il Maradona della Chiesa, il mondo è il Maradona di Francesco. La duplice metafora inquadra e raccoglie, come le facce di una medaglia, la gioia e il dolore, lo spettacolo e il tormento. La fantasia, e filosofia, di un tango argentino.

Due sogni che si incrociano, sinceramente attratti e inesorabilmente rivali, come in un derby tra il San Lorenzo e il Boca. Per poi lasciarsi e inseguire l'estro, la sfera rotante del proprio destino, imprendibili e imprevedibili. Diego il ribelle albiceleste e Jorge il rivoluzionario celestiale. Dalla Bombonera di Buenos Aires, con le sue dolcezze stilistiche, alla bomboniera del pianeta, con i suoi confetti amari.

Ogni volta che Diego Armando ha incontrato il Papa si rinnovava e andava in scena il magnetismo tra due miti e miraggi argentini: quello che si scioglie con il fischio finale della partita e quello asceso al soglio di una partita senza fine. Quello che sul campo non sbagliava mai posto, mentre nella vita terminava spesso in offside. E quello che ha trascorso una vita da outsider, ma si ritrova divinamente al posto giusto. Quello che giocava subito, sin dall'inizio, e nessuno che potesse sostituirlo. E quello che è entrato all'ultimo, allo scadere, dicendo già che chiederà la sostituzione.

Il Pontefice che aprì la porta santa in un luogo impossibile. Il goleador che scardinava le porte stregate, inesorabile. Il pibe de oro e la croce di ferro. La mano de Dios e il pugno dell'uomo, a parti invertite, dove Diego interpreta la prima e Jorge il secondo.

Torniamo indietro al calcio d'avvio, moviola e fermo immagine sull'assunto di partenza: Bergoglio è il Maradona della Chiesa. Come nel goal del secolo ai mondiali del Messico. Francesco incanta e intanto finalizza, concretizza, fintando e dribblando, funambolico e pragmatico. Travolgente, aggirante. Il baricentro basso e testa alta. Attraversando le storie personali con lo sguardo alla storia universale. Un "fenomeno", certificò Diego, divenuto suo fan.

Secondo tempo e capitolo secondo, cambio di campo e inquadratura. Il mondo è il Maradona di Francesco: metafora dell'umanità e del creato, specchio e rischio del futuro. Talento illimitato e progressione inarrestabile. Valore inestimabile, autolesionismo virale. Capace di deformarsi e distruggersi, non di custodirsi. Di odiarsi alla follia e innamorare le folle. Di far scendere il cielo in terra, con la magia dei suoi piedi, e di scendere a piedi all'inferno, prigioniero di un maleficio. Genio e sregolatezza, visto dalla tribuna, dov'è assiso però un papa tifoso, che al mondo perdona tutto. Maradona si ama, non si discute.

Nessuno meglio di Bergoglio, in definitiva, pontefice da stadio con un cuore da "ultrà", può spingere oggi la misericordia "oltre" se stessa, "oltre" il rigore, sul filo nevralgico del fuori gioco, e comprendere la parabola di Diego, nell'area piccola, ingarbugliata dei momenti che contano. E decidono la partita della vita. Cercando il cielo nei campi sterrati, dove la polvere di stelle impasta i campioni. E scrutando, nei cieli, la stella del campione, adesso che abita nella bombonera eterna.

Piero Schiavazzi