di Luca Bianco

Se la vuoi "far finita con questa Europa" e "riprenderti la sovranità" che ritieni "Bruxelles abbia tolto all'Italia" – insomma: se sei un sovranista e populista – segnati in rosso questo appuntamento: domani al Roma Scout Center il leader di ItalExit Gianluigi Paragone presenterà le liste elettorali. Un partito che non scherza, lo dicono gli ultimi sondaggi: 3,7 per cento, in crescita secondo Swg. Ben al di sopra della fatidica soglia di sbarramento del Rosatellum che segna il confine, nella politica italiana, tra chi esiste e chi no. Il campione degli antisistema – colui che il Parlamento lo avrebbe aperto come una scatoletta di tonno anni prima che diventasse uno slogan di moda – cerca ora una riconferma a Palazzo, magari portandosi dietro qualche fedelissimo no-Vax e anti-Euro. Basta dare un occhio ai profili social del senatore barricadero, frequentatissimi da populisti di varia fattura provenienti da tutta Italia, per rendersi conto di come nel suo caso la coerenza – una vita da antisistema – abbia pagato. Paragone infatti lo ammette candidamente: mi rivolgo ai "delusi del populismo". E di quelli, si sa, in Italia ne trovi sempre.

Una nota del suo partito appena rilanciata dalle agenzie spiega i motivi per cui domani, dicevamo, "non si può mancare": "ItalExit sarà in prima fila per la difesa delle libertà individuali contro Green Pass, identità digitale e strapotere delle Multinazionali, e si batterà per difendere i lavoratori, per tutelare il Made in Italy e per proteggere il potere d'acquisto degli italiani dal caro energia e dalle speculazioni". Insieme al segretario del partito, interverranno all'evento tutti i candidati ItalExit. Relatori d'eccezione saranno il professore no-GreenPass Giovanni Frajese, il senatore William De Vecchis e il vicequestore Nunzia Schilirò. Il cerchio magico paragoniano al gran completo, mescolanza di istanze no-Euro, no-Vax e no-Nato. "Per fare quello che gli inglesi hanno fatto sei anni fa con la Brexit". Da qui il nome, tutto un programma, del partito fondato da Paragone, il leader barricadero, il Mister No per eccellenza.

In ordine cronologico: direttore de La Padania (nonostante le origini campane e siciliane), vicedirettore di Rai 1 e Rai 2, direttore vicario di Libero, conduttore de La Gabbia su La7 e prima ancora dei talk in seconda serata Malpensa Italia e L'Ultima Parola. Prima leghista, nordista e secessionista. Poi, a lungo andare, euroscettico. O meglio: no-Euro e no-Ue. Sovranista, in breve. Grillino prima dei grillini, grillino eletto con i grillini, poi dibattistiano – ricordate le scorrazzate dei due in motorino nei vicoli romani ai tempi del Conte uno? – e infine no-Vax (con la pandemia, ma anche prima) e no-Nato (con la guerra). Nella complessa e variegata epopea giornalistica e politica di Gianluigi Paragone – nato a Varese, 51 anni compiuti in agosto, senatore del gruppo Misto – non è opera complicata trovare uno stesso fil-rouge. Cambiano le stagioni, cambiano le tematiche, ma la sua posizione è sempre la stessa: lui dice "critica", i giornali dicono "antisistema". Se ce l'avete con poteri forti, multinazionali, banche, alta finanza, americani e compagnia, di sicuro conoscete Paragone.

Antisistema già lì dove quella narrazione ha attecchito per la prima volta nell'Italia contemporanea, cioè la Lega Nord bossiana. Varesino, Paragone fece i primi passi da cronista come inviato de La Prealpina, il quotidiano del varesotto, dove seguì come un'ombra le gesta a livello locale di Bossi, Maroni e di tutto il gruppo dirigente del Carroccio dell'epoca, che di Varese era ed è di casa. Qui scoccò la scintilla con il Sole delle Alpi. Nel 2005 la chiamata del senatùr alla guida de La Padania, l'organo ufficiale del partito, dove tra i collaboratori spiccava anche un certo Matteo Salvini, consigliere comunale milanese in forte ascesa in via Bellerio. Sostenitore acerrimo della questione settentrionale, il direttùr consigliò al presidente della Repubblica Napolitano di affacciarsi dal balcone per "vedere la secessione che si sta consumando sotto i suoi occhi".

Sono gli anni degli storici manifesti-denuncia del Carroccio. Il più noto quello con i pellerossa americani costretti a vivere nelle riserve "a casa propria" a causa dell'immigrazione europea. Paragone, falco che più falco non si può della Lega Nord per l'Indipendenza della Padania, propose la candidatura di Oriana Fallaci alle politiche "contro la sinistra islamista". L'immigrazione: il primo vero grande cavallo di battaglia di Paragone e usato sicuro per ogni aspirante populista d'Italia. "L'invasione. Come gli stranieri ci stanno conquistando e noi ci arrendiamo" è il titolo dell'inchiesta scritta da Paragone a quattro mani con un giovanissimo Francesco Borgonovo, oggi firma di punta de La Verità, nel 2009. Da quelle pagine arrivò un'altra denuncia: "Basta con i giocatori stranieri in Serie A. Stanno avvelenando il nostro calcio". Erano gli anni di Samuel Eto'o all'Inter e del Milan dei brasiliani.

La svolta, nella sua carriera giornalistica, con il ritorno del centrodestra al potere e quindi lo spoil system in casa Rai. Paragone, uomo fidato del Carroccio, viene destinato prima a Rai 1 e poi a Rai 2, dove prende le redini di alcuni fortunati (in termini di ascolti) talk in seconda serata. Compassato, occhialini tondi, aria da secchione un po' ingenuo, sempre in abito giacca e cravatta, una conduzione decisamente equilibrata rispetto alle premesse: Paragone non è ancora quel mattatore tutto musica ed euroscetticismo che diventerà qualche anno dopo con il salto a La7. La musica, l'altra sua grande passione. Da ragazzo suona la chitarra elettrica nei Babbi di Minchia, poi ribattezzati BdM per puro pudore. La stessa chitarra animerà i prime time della Gabbia, talk show politico e musicale che per anni infiammerà e farà da megafono a tutti gli oppositori della stagione di Renzi (e del Pd) a Palazzo Chigi.

Poi un giorno di primavera, nel 2017, Andrea Salerno prende la guida dell'emittente, in piena ristrutturazione editoriale dopo l'acquisizione del Corriere della Sera da parte dello stesso editore, Urbano Cairo. La Gabbia, complici anche gli ascolti in calo nell'ultima stagione (Renzi è uscito sconfitto nel referendum costituzionale, la battaglia è finita), viene soppressa. Paragone la prende con filosofia. Ha capito che questo è un segno del destino. Che la sua vita deve cambiare, ancora una volta. Che la lotta deve continuare, ma per altre strade. Prima di decidere cosa fare c'è il tempo per partecipare ad altre battaglie, questa volta nelle piazze, contro il decreto Lorenzin sulla vaccinazione obbligatoria. No-Vax quando ancora significava essere contro i vaccini che "rendono i nostri figli autistici". E poi gli attacchi a Draghi, quando ancora è a Francoforte.

Lo si può chiamare come si pare, ma di certo Paragone, non da ieri, non è un draghiano, vocabolo-contenitore di tutto ciò che agli Italexiters (si dirà così? In inglese si chiamano Brexiters) non piace. E se i centristi Calenda e Renzi ne fanno una bandiera con tanto di agenda o metodo che dir si voglia, il premier diventa invece bersaglio, target, nella grande narrazione della propaganda di Paragone. Apri i suoi social e infatti subito trovi un video denuncia presentato così: "L'ultima porcata di Draghi". Non conta di cosa si parli nello specifico. Ciò che conta è denunciare l'ex governatore della Banca Centrale Europea.

Le banche, proprio loro. Nemico storico del Paragone politico ma anche del giornalista. Già dai tempi della lettera di Francoforte che contribuì alla caduta di Silvio nel 2011, quando Paragone era 'organico' alla maggioranza di centrodestra, in quota Lega. Anche se lui, nei suoi talk, già allora diceva di non avere "un prezzo sull'orecchio". Le banche dicevamo. Sono gli istituti di credito a diventare la molla che giustifica la discesa in campo di Paragone nell'agone politico. Nella sua prima legislatura parlamentare, eletto al Senato nel 2018 con il Movimento 5 Stelle dopo un lungo corteggiamento, il gruppo lo piazza quasi di diritto nella commissione bicamerale di vigilanza sulle banche.

Luogo più adatto a Paragone non poteva esserci, dopo anni di campagne contro "il sistema bancario" e i "poteri forti" che starebbero dietro ai principali fatti economici che hanno interessato l'Italia dal 2011 in avanti: il "golpe" di Merkel e Sarkozy, il "delitto perfetto" della sinistra durante la crisi del Monte dei Paschi, la "complicità" della ministra renziana Boschi, al fianco del suo papà, nel crack di Banca Etruria e via dicendo. Tutte ricostruzioni sulle quali Paragone ha basato, tra gli altri, il suo saggio-inchiesta GangBank - Il perverso intreccio tra politica e finanza che ci frega il portafoglio e la vita. Il tempo di Paragone uomo di partito però dura il tempo di un inverno. Già prima delle europee 2019, quelle in cui il Movimento subirà un duro tracollo rispetto al 33 delle politiche, critica il capo politico, vicepremier, ministro dello Sviluppo economico e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, troppo "giacca e cravatta" agli occhi del senatore anti-banche.

Di lì a poco, il definitivo addio. Il Conte giallorosso sostituisce il Conte gialloverde a Palazzo Chigi. E Paragone, scettico come l'amico Dibba sulla nuova intesa Pd-M5s, strappa con il suo gruppo durante il voto sulla legge di bilancio, "la gabbia che ci ha imposto Bruxelles" nella versione che ne dà l'ex conduttore. Il 1° gennaio 2020 è espulso dai probiviri dimaiani. Mancano poche settimane e il Covid-19 cambierà per sempre la storia della legislatura. Inizia la fase successiva, quella attuale, della carriera politica del senatore ora passato al Misto. Di impianto euroscettico già dal nome, la sua nuova creatura politica, ItalExit, si arricchisce presto di nuovi innesti ideologici frutto della pandemia in corso. La lotta contro le restrizioni, i lockdown, la "vaccinazione obbligatoria" (che poi non ci fu mai nella realtà), il Green Pass, le mascherine – il "bavaglio" – al chiuso e all'aperto. Infine, la bandiera dell'antidraghiano per eccellenza, con la denuncia del governo di Grande Ammucchiata guidato dall'ex banchiere centrale.

Nel 2021 si candida alle amministrative di Milano. La lista Paragone Sindaco tocca quota 2,99%. Paragone non entra in consiglio comunale a Palazzo Marino per poche decine di voti. Il risultato non troppo malvagio però conferisce a Paragone quel minimo di credibilità per riunire sotto la sua bandiera movimenti e personaggi che dichiarano guerra all'Italia draghiana. C'è Vox del filosofo già stella de La Gabbia Diego Fusaro. Ex leghisti rimasti fermi alla felpa salviniana con scritto no-Euro come il senatore De Vecchis. I portuali no-Pass di Trieste con Puzzer. La poliziotta vicequestore ribelle Schilirò. E ad Ostia anche la dirigente ex CasaPound Chiaraluce. Una Grande Ammucchiata Antisistema di fede paragoniana intenzionata a fare meglio del 2,99 di Milano. Basta un centesimo percentuale in più per portare una pattuglia di ItalExit in Parlamento e proseguire la battaglia dall'interno. Come dicono i suoi fedelissimi in rete: è giunta l'ora di "rimuovere (sic) il ministro Speranza e liberare l'Italia dalla dittatura bellica e sanitaria".