Giovanni Toti

di FRANCO MANZITTI

GENOVA - Le responsabilità le accerterà la magistratura. Augurandosi che non lo faccia nei tempi eterni e ingiusti di tanti processi simili a questo, che hanno segnato nei decenni anche questa Regione e questa città. Dal caso di Alberto Teardo, nel 1983, nella pre-tangentopoli genovese, alla mini tangentopoli di casa nostra negli anni Novanta, con l’arresto anche del sindaco Claudio Burlando, al superprocesso contro Giovanni Novi, presidente del porto nel 2007-2008, tanto per citare i casi principali.

Processi risolti con tempi diversi: da quelli lampo di Burlando a quelli eterni di Novi.

Ma qui va sottolineato un altro aspetto, che ha innescato il cataclisma di oggi. Questo maxi processo, che ha già più di 35 personaggi coinvolti e ne avrà altri, seppure con diversi, presunti, gradi di responsabilità, ruota intorno al “metodo Toti”.

Così lo hanno subito definito i mezzi di comunicazione e così si riassume per circoscrivere ( se è possibile) una tempesta che scuote l’intera Regione, il porto di Genova e tanti altri scenari, perfino quelli urbanistici della riviera di Celle Ligure, le discariche di rifiuti nel savonese e chissà quanti altri ne vedremo. Compreso quello più inquietante e generale delle possibili connivenze mafiose dei voti “comprati” nelle comunità dei riesini.

Esiste un “metodo Toti” perché oramai la nostra democrazia è avviata potentemente verso una semplificazione verticistica, che a Roma viaggia a velocità supersonica verso il premierato e nelle Regioni porta da tempo al leaderismo dei cosidetti “governatori”, che, tra l’altro non sono costituzionalmente definibili con questo termine, ma del quale si sono “appropriati”.

Sono semplicemente presidenti e se vengono chiamati governatori è proprio perché la loro posizione si è dilatata, un po’ con le leggi, ma molto di più con il protagonismo delle loro figure che, per necessità, soprattutto durante la pandemia sono diventate necessarie e potentissime, spesso anche in contrapposizione con lo Stato, il ministero della Salute, il potere romano.

Questa centralità ipertrofica del presidente ha portato molte storture, ma soprattutto ha permesso di costruire il “metodo” che non è solo una definizione, ma anche un sistema di potere sempre più esteso. Non è un caso che anche Toti per lunghi periodi ha trattenuto per se le deleghe del Bilancio e della Sanità e della Cultura, come se non ci fossero possibilità di affidarsi ad altri e con uno scopo evidentemente accentratore.

Siamo arrivati a inventare la figura della coordinatrice delle politiche culturali affidata alla portavoce Jessica Nicolini, una giornalista di molta energia, ma chissà quali competenze specifiche, abituata a non mollare mai il suo capo, inseguendolo con il telefonino, per diffonderne le azioni e i discorsi.

Questa estensione della figura presidenziale  riguarda il grande processo in corso, perché mostra come Toti fosse presente ovunque, in ogni operazione, in ogni relazione importante con ruoli e responsabilità che la magistratura accerterà, ma che istituzionalmente possono essere già discusse.

Se si aggiunge a questo il valore “politico” del personaggio, sicuramente conquistato con la sua capacità di navigatore nei meandri di oggi e di abile sfruttatore del vento favorevole alla sua parte, allora non è difficile arrivare al “metodo Toti”.

Che lo ha portato a “buttarsi” sulla barca di Spinelli per gustare il caviale con le patate, ragionando sulle richieste di sciù Aldo per i terminal portuali e le operazioni urbanistiche in riviera, che gli ha fatto inventare le grandi cene con obolo di partecipazione di centinaia di ospiti, che lo ha fatto affiancare a ogni evento cittadino insieme al vulcano Bucci, che gli ha fatto conquistare la leadership di più fluente e facondo comunicatore su ogni giornale e in ogni Tv, che lo ha fatto rimbalzare per tutta la Liguria e oltre nellacostruzione dettagliata dell’ overturism, consacrato con le discusse trasferte del superpestello del pesto.

E, sempre fuori dal processo ma ben dentro al metodo, c’è il suo frenetico attivismo nel voler partecipare all’operazione che porta Aponte a comprare “IL Secolo XIX”, suggerendo possibili direttori, cercando di influenzare ogni scelta editoriale del nuovo corso nell’auspicio che sia favorevole alla sua politica, appunto al suo metodo.

Quando non esisteva un metodo accentratore del presidente di Regione molti di questi comportamenti avrebbero fatto scatenare scintille e conflitti tra i vertici istituzionali, tra sindaco, presidente del porto e della Regione ben distinti nelle loro azioni.

Ricordo bene nei vecchi tempi che succedeva anche tra leader dello stesso partito: tra Cerofolini e Magnani per esempio, tra D’Alessandro e lo stesso Magnani, e più recentemente con Sandro Biasotti, quando qualcuno valicava i propri confini istituzionali.

Ma oggi che c’è di male? Se non verranno accertate responsabilità penali in queste ed altre azioni che le carte del processo stanno accumulando, nulla di male.

Ma c’è una centralità  del ruolo che oggi a posteriori minaccia pesanti reazioni al processo, che sono quelle di una paralisi progressiva nei gangli del sistema: dai ruoli gerarchici sottostanti, alle grandi operazioni del kolossal che la Regione stava costruendo, spesso in abbinata fruttuosa con il sindaco Bucci.

La povera Jessica Nicolini, portavoce senza più voce, il suo poliedrico staff di comunicatori muto di colpo, la  giunta regionale senza personalità capaci di affrontare le emergenze, il sindaco dimezzato nelle sue azioni, malgrado la sua verve, le grandi opere a rischio di ricaduta giudiziaria nei loro già tortuosi percorsi.

Se nella sciagura del ponte Morandi un metodo, quello definito “di Genova”, ha ottenuto il risultato di una riscossa immediata e potente, un successo di immagine, potremmo esagerare “mondiale”, ascrivibile sicuramente al sindaco Bucci, ma per riflesso anche a Toti, oggi nella sventura del maxi processo il modello Toti porta a un capovolgimento degli effetti.

Tanta centralità, tanto leaderismo (in linea con questa politica di oggi fatta di rapidi saliscendi) nella difficoltà processuale può portare come a una decapitazione.

Decapitata la politica, che non sa come andare avanti, dimissioni si o no, elezioni anticipate si o no, blocco o ritardo nelle maxiopere, stop o no ai ruoli di commissariamento, che erano il nocciolo della velocizzazione leaderistica, perfino difficoltà di un modello civico, sbandierato politicamente in funzione proprio di quella cavalcante leadership?

Il processo e il metodo si intrecciano e non pensiamo che sia un vantaggio per la Liguria.