Un italiano folle? Qualcosa di simile, però nel senso buono dell’espressione. Patito della corsa a piedi? Molto di più, un fachiro della strada. Un maratoneta infinito. Oltre 1.000 maratone in carriera, lui di professione tassista a Roma.

Il nome? Giorgio Calcaterra è una celebrità nel mondo dei top runner. Quarantasei anni, “Padova 32” la sigla del suo taxi. Sei ore al giorno al volante, il resto della giornata dedicato alla corsa a piedi, su strada. Si prepara correndo una volta al giorno la distanza classica della maratona, 42 chilometri e 195 metri. Ventuno chilometri al mattino, altrettanti la sera. Duecentonovanta chilometri alla settimana, visto che la salute lo sorregge alla grande. Dopo aver rimesso il taxi in garage e ed essersi dedicato al bilancio giornaliero del negozio di abbigliamento in società con la sorella, in viale Germanico, quartiere Prati.

Tra una cosa e l’altra, una corsa e le chiamate che riceve per mezzo della radio-taxi, “Padova 32 a servirvi”, tre titoli di campione del mondo della 100 chilometri. Matto sì, ma di quelli positivi, incredibili, buoni. Magari prigionieri di una fissazione. Quella di Giorgio Calcaterra è la corsa, un piacere mai obbligo, un meraviglioso tic confinante con la mania. Primato personale sulla distanza della maratona 2h 13’15’’.

Il simpatico matto, atleta e corridore di spessore, domenica si schiererà alla partenza della Maratona di Roma, inseguendo un obiettivo preciso, al momento del via. Una trovata molto personale, senza precedenti nella storia dell’antica corsa di lunga lena, da Maratona ad Atene, chilometri 42,195.

L’impresa di Filippide in qualità di messo portatore dell’annuncio ai greci della vittoria sulle truppe persiane. Dodici volte primo al traguardo della cento chilometri del Passatore, la più celebre al mondo delle corse a piedi, il tassista Giorgio Calcaterra partirà ultimo, per libera scelta, alla Maratona di Roma, che lui ha corso per la prima volta a dieci anni. Ultimo davvero, ma si può? E perché mai sarà lui a chiudere il gruppone con 14mila partecipanti?

“Amo la corsa, saluterò i runner uno per uno, poi sarà festa per tutti”. Prima però ne sorpasserà tanti, fino all’arrivo su via dei Fori Imperiali. Tanti, esclusi ovviamente gli specialisti, alcuni italiani, ma soprattutto i corridori africani cresciuti sugli altipiani. Contesta i maratoneti colleghi appunto seriosi, gli africani in particolare, sempre concentrati in esclusiva sull’obiettivo vittoria.

Calcaterra predica il concetto di allegria durante e dopo la corsa. “Non si corre solo per soldi”, dovendo ammettere che le maratone sono diventate ormai un grande business. I maratoneti professionisti ci vivono, a botta di milioni l’anno. “Senza allegria non si va da nessuna parte. Meno che mai quando sei alla guida di un taxi”. A Roma poi, imprigionata nel traffico caotico, talvolta privo di regole, all’insegna di “aò, fregamocene der monno”.

Gratta gratta, il tassista-maratoneta è conosciuto in tutto il mondo. E pure apprezzato, un idolo in Olanda come pure a New York. Dove ha corso più volte la maratona più famosa e affollata. Cinquantamila patiti della corsa (e dei dollari del ricco monte premi), e lui c’era, c’è stato, e ci sarà. “Fino a quando mi sorreggeranno le forze, penso di arrivare in Central Park a cinquant’anni”.

Amante del contatto con la gente a qualsiasi latitudine, in cotta perenne con la corsa, sua inesauribile amante, ce l’ha a morte con la federazione italiana di atletica leggera. “Mai un complimento dalla Fidal, neppure una telefonata. La federazione di atletica offende il mio grande amore per la corsa”.

Spenta la radio-taxi, tolta la chiave di contatto dal cruscotto del suo “Padova 32”, si allena in solitario a Villa Pamphili. Mangia chilometri, li divora, guardando e correndo sempre in avanti, in direzione del prossimo impegno. Quello di Roma, l’8 aprile. La Maratona sulla distanza classica, partendo da dietro, come di rincorsa, la posizione dell’ultimo dei 14mila iscritti finora. “Io amo la corsa, quindi ho deciso di affrontare la gara godendomi i runner e la mia città. Quando sono nel gruppo non è possibile, tanto meno quando riesco a intrupparmi, per chilometri, nelle posizioni di testa”.

La volontà primaria dell’incredibile runner-tassista è quella di salutare la grande massa dei partecipanti. “Il bello della corsa è la condivisione con gli altri. Correre insieme con il maggior numero di persone possibili”. Un concetto ricorrente in lui, reperibile nel libro scritto con il suo amico Daniele Ottavi, in libreria nei prossimi giorni. “Consigli miei per far correre tutti con il sorriso”. Trentacinque anni di corse nelle gambe, uniti all’attività alla guida di un taxi, ne fanno un personaggio assolutamente fuori delle righe. Unasuggestiva eccezione meritevole di analisi da parte di psicologi, non solo di tecnici esperti della corsa a piedi. “Alla mia età atleti di alto livello hanno già smesso da un pezzo. Io, al contrario, ho ancora molti stimoli. Sapete perché? Correre mi diverte. Nessuno mi obbliga, quindi lo faccio con gioia”.

La gioia di una fatica tremenda, talvolta atroce, segnata da drammi personali nelle maratone di alto spessore tecnico e agonistico. La maratona è sofferenza e dolore, non solo corsa e fatica. Roma l’8 aprile, poi i campionati del mondo di ultramaratona in Croazia, a settembre. Il maratoneta infinito, Giorgio Calcaterra, quando chiude la portiera del suo taxi e la radio di “Padova 32” smette di comunicare. Un fantastico masochista? “Semplicemente questo: la corsa rende migliori le persone”.