Non cambia nulla. I voti, o meglio dire, le cartelle elettorali sono scomparse e non si sa dove siano finite. Lo scandalo più grande quello dell'Uruguay, messo subito in evidenza da 'Gente d'Italia'.  Decine di migliaia di plichi 'desaparecidos' (60mila circa) con da una parte l'ambasciatore Gianni Piccato che ripete le sue cifre e dall'altra il Comites che ormai a questo punto non sa più cosa fare. "Cosa è possibile aggiungere? - ha ripetuto anche ieri Alessandro Maggi, il presidente - non abbiamo avuto spiegazioni esaurienti, i problemi, le disfunzioni sono sotto gli occhi di tutti. Non si contano i cittadini italiani che non hanno avuto la possibilità di votare, ma non si arriva a una spiegazione".

Ecco la prima testimonianza. Ma purtroppo non è l'unica. E lo si è potuto constatare durante i lavori della Commissione Continentale dell'America Latina del CGIE, il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero. A Montevideo, sede migliore in questo non si poteva trovare, il Sudamerica degli italiani si è trovato attorno a un tavolo per scambiarsi le esperienze di una tornata di voto che, e qui sono tutti d'accordo, è stata definita la peggiore da quando anche all'estero chi ha la cittadinanza italiana può esprimere il proprio. Un diritto che mai come questa volta però è stato leso. E in maniera evidente, brutale, un affronto.

I fattacci dell'Uruguay, con le disfunzioni che hanno accomunato tipografia Imprimex, Correo Uruguayo, Abitab, controlli superficiali, ferie diplomatiche, purtroppo si sono allargati anche a tutta l'America Latina. Lo ha spiegato l'esponente del PD Fabio Porta, che si è trasformato in una voce della verità (speriamo sia ascoltata) e le conferme sono arrivate anche dai consiglieri del CGIE. "Non mi sembra che si debba dire solo che non c'è stata una adeguata risposta degli elettori - così ha iniziato il suo intervento Cesare Villone, parlando per il Brasile - ci si è trovati di fronte a problemi molto gravi. Nella mia circoscrizione, solo per fare un esempio, le cartelle elettorali non sono arrivate. Io stesso non ho potuto votare. Ripeto è un fatto grave che ci deve far pensare a un cambiamento delle norme. E' una procedura che non funziona".

Dall'Uruguay al Brasile, dall'Argentina al Cile, non sono mancate le disfunzioni (chiamiamole così...): addirittura plichi che in diverse parti del Sudamerica continuavano ad essere distribuiti fino al 4 marzo, giorno delle elezioni, davvero una vergogna. E questa è stata una testimonianza arrivata dall'Argentina con l'aggiunta poi di un ambasciatore, Giuseppe Manzo, giunto proprio in prossimità delle elezioni, il 12 febbraio, un avvicendamento che poteva essere rimandato, al fine di salvaguardare proprio il corretto funzionamento delle pratiche elettorali. Invece no, 'hanno' voluto effettuarlo tre settimane prima della importantissima scadenza. Senza dimenticare poi, è stato sottolineato, che ancora il nuovo ambasciatore non è stato presentato ufficialmente ai rappresentanti della comunità italiana.

IL CAOS - Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all'estero, in apertura di CGIE aveva puntato il dito sulla mancanza di una adeguata risposta degli elettori in Sudamerica, ma evidentemente non è così. Un'altra testimonianza del caos-elezioni l'ha portata, ancora dal Brasile, da Belo Horizonte, Silvia Alciati. "Oltre ai problemi da tutti
denunciati di comunicazione - ha spiegato - per il Brasile l'invio del plico agli elettori è stato effettuato attraverso una società di posta rapida, ma il ritorno, il voto insomma, è stato affidato alle poste regolari, vuol dire almeno una decina di giorni di tempo necessari, spesso anche quindici, molti hanno imbucato diligentemente la loro busta, ma stanno arrivando adesso.

Una verifica che abbiamo fatto e che ci è stata confermata anche dal fatto che, altro esempio, ma rende l'idea, ancora adesso, ce lo fanno sapere diversi connazionali, per posta regolare stanno arrivando le pubblicità elettorali dei candidati, conferma della lungaggine delle poste. Tutto ciò conferma che, soprattutto per l'America Latina, i tempi previsti dalla legge non vanno bene. Forse sì per l'Europa, maggiore organizzazione, tempi più rapidi, ma non per il Sudamerica. Poi lo scrutinio, molti non sapevano delle due preferenze. alla fine una minima valorizzazione dello sforzo di chi ha votato, già sono stati in pochi e questi ultimi non sono stati conteggiati nella giusta maniera, tante schede annullate, senza dimenticare che ancora oggi non abbiamo i risultati conclusivi".

Infatti fino al giorno di apertura dei lavori CGIE, lo ha rivelato proprio il vice segretario Mariano Gazzola, nella webpage della Corte d'Appello era possibile avere solo i definitivi della Camera, ma non il Senato. Questo dopo un mese e mezzo dalle elezioni. E poi c'è chi parla di Terzo Mondo... Ma Silvia Alciati, a conclusione del suo intervento ha fatto una domanda che sicuramente crea imbarazzo: "I votanti sono tutti trattati così o si tratta solo di una azione specifica contro gli italiani all'estero? Perchè se si trattasse della seconda ipotesi, allora si deve intervenire".

Ma come? Marcelo Romanello, Argentina, Mendoza, ha proposto seggi in loco con accordo con le autorità locali delle singole nazioni. Ancora dall'Argentina Guillermo Rucci, ha puntato l'attenzione sulla estensione delle circoscrizioni. "Come la nostra La Plata, oppure Bahia Blanca - sottolineato - si tratta di zone molto estese, se all'elettore non arriva il plico è impossibile che si rechi al consolato per votare, non può percorrere centinaia di chilometri. Ecco perchè si devono trovare soluzioni per il voto per corrispondenza, abilitando i consolati onorari, oppure seggi locali, ma in questo modo, come è stato fatto in questa occasione, non funziona".

Anche perchè gli stessi dati sono indecifrabili: non si sa infatti quanti siano stati i plichi restituiti dagli elettori, complessivamente. Altro punto questo che conferma il caso che ha avvolto le elezioni per gli italiani all'estero. "Infatti - ha sottolineato il vice segretario Gazzola - stiamo discutendo senza avere nemmeno i dati completi a nostra disposizione. Abbiamo provato a chiederlo al Ministero, la risposta è che non era di loro competenza". Uruguay, Brasile, Argentina, Perù, Cile un elenco lungo accomunato dalle stesse riflessioni: c'è qualcuno che vota, ma quanti invece non possono farlo?"

In Perù - lo ha rivelato Gianfranco Sangalli - ha votato circa il 18% degli aventi diritto nonostante le autorità diplomatiche consolari abbiano deciso di stampare le istruzioni per il voto solo in italiano e non anche in spagnolo, oppure persone che portavano la loro busta personalmente al Consolato, ma venivano respinte perchè si accettavano i voti solo per posta. Soltanto negli ultimi due giorni è stata allestita una urna all'Ambasciata dove era possibile lasciare il plico".

Dalla organizzazione, alla comunicazione fino alle tempistiche: tutto lasciato purtroppo, ma davvero, al caso. C'è allora la possibilità di fare qualcosa? Seggi fisici, voto per corrispondenza, ma anche elettronico, spoglio poi che non necessariamente deve essere eseguito in Italia trasportando milioni di schede. Ma non è tutto. " In Cile - ha concluso Aniello Gargiulo - dei 50.000 plichi spediti, hanno votato in 7.200, circa il 17-18%, il doppio rispetto alle passate elezioni, 6.000 sono tornati indietro, ma gli altri oltre 30.000 dove sono finiti? Il problema è anche se non soprattutto il ritorno. In Cile non esistono le
buche per le lettere per strada, ci si deve recare all'ufficio postale. Quanti avranno votato e poi si sono chiesti: chi la porta alle poste? Non tutti i Paesi sono uguali e quindi un solo sistema non va bene per tutti.

Se ci sono state irregolarità sarà la Giustizia a deciderlo, intanto però il Ministero potrebbe effettuare monitoramenti a campione. Ma per l'America Latina il problema è soprattutto uno: lo schema unico non funziona, distanze, cultura, abitudini, non si riesce ad assorbire e unire tutto in tre settimane per le elezioni italiane".

Roberto Zanni