Promesse non mantenute. Silenzi e incroci di responsabilità. C’è stato tutto questo e altro ancora nella difesa di Piero Maria Ortolani che ha fornito la sua versione dei fatti sul fallimento della Dante Alighieri mercoledì sera durante la riunione del Comites, il Comitato degli Italiani all’Estero di Montevideo.

Con un ritardo di sei mesi dovuti a problemi interni, l’organismo che rappresenta la collettività italiana è riuscito finalmente ad affrontare uno degli argomenti più scottanti degli ultimi tempi. Come è potuto accadere che l’ennesima istituzione italiana in Uruguay andasse in rovina?

Il panorama oggi appare un po’ più chiaro ma restano ancora tanti interrogativi.  Il presidente della Dante ha detto, sostanzialmente, che gli era stato promesso dal Ministero a Roma pieno controllo nella gestione dei corsi di italiano ma poi era stato abbandonato.  Ha puntualizzato, inoltre, di essersi occupato della Dante solo in veste di figura rappresentativa scaricando le responsabilità gestionale nei confronti dell’ultima direttrice Claudia Morettini.

Il lungo racconto di Ortolani ai consiglieri del Comites inizia intorno alla fine del 2014. In questo periodo la Dante sta andando a rotoli, i problemi di salute della direttrice Renata Gerone ne compromettono seriamente il funzionamento. “La situazione era abbastanza triste, c’erano pochissime attività e il numero di studenti era crollato. Dopo le dimissioni della Gerone, su richiesta della Dante di Roma, accettai l’incarico di presidente. E lo presi con tante perplessità dato che non mi ero mai occupato di queste cose e non avevo una conoscenza diretta. Sembrava impossibile poter programmare qualcosa viste le tantissime difficoltà. L’unica strada possibile era la chiusura.  Portai questo messaggio all’allora ambasciatore italiano Vincenzo Palladino che era molto dispiaciuto e mi chiese di ripensarci e di vedere se si poteva fare qualcosa per rimetterla in piedi”.

Nel tentativo di rilanciare la Dante, Ortolani ricorda che aveva già individuato la persona che si sarebbe potuta occupare in prima persona della gestione qualora il piano fosse andato a buon fine: si trattava di una sua amica Giuliana Balboni che “mi diceva di essere pronta a partire per l’Uruguay.  "Ma ci furono complicazioni - spiega Ortolani -  A causa di un’altra offerta di lavoro, la Balboni dovette rinunciare all’incarico e al suo posto subentrò Claudia Morettini. In un secondo incontro in Ambasciata, con Palladino e l’allora dirigente scolastico Sergio Colella, mi proposero di far entrare anche la Dante nell’accordo per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole. Dall’Ambasciata mi dissero che c’erano pressioni dal Ministero degli Esteri per rinnovare questo accordo. Si doveva firmare al più presto e poi ci sarebbe stato tempo per organizzare”.

L’accordo in questione è quello siglato nel 2003 con il CEIP (Consejo de Eduación Inicial y Primaria) per diffondere l’italiano nelle scuole elementari statali e al quale partecipa anche il Casiu (Centro Assistenza Scolastica Italia Uruguay) che prevede solo 45 minuti di lezioni a settimana.

“Un piano destinato a fallire” secondo Ortolani “in base alla luce dei fatti che mi porta a concludere che siano soldi mal spesi. Molti docenti del Casiu, tra l’altro, non hanno l’abilitazione per poter insegnare”. Nel frattempo Claudia Morettini - racconta ancora Ortolani - elabora un piano per il ritorno della Dante sulla scena in attesa dello sviluppo di nuove vicende. Qualcosa sembra destinata a muoversi: “Lei preparò un piano ambizioso ma con buone possibilità di successo e si decise di ripartire. In Italia ebbi un incontro con Palladino - che aveva appena concluso la sua missione in Uruguay - e con altre autorità del Ministero che non sapevo chi fossero dato che non si presentarono mai. Ebbi la loro benedizione ma una volta tornato a Montevideo mi ritrovai completamente solo. Non ci davano nessuna risposta ufficiale sui compiti della Dante in questo accordo. Per noi era una questione di prestigio. Questa situazione di incertezza finì per generare continui malumori. Ci ritrovammo ad essere soci di minoranza senza poter prendere delle decisioni. Avevamo uno schema ma non ci hanno permesso di svilupparlo. Nel 2016 poi è andato sempre peggio: avevamo solo spese e nessuna entrata”.

Ciò che emerge dal racconto di Ortolani è innanzitutto lo scontro frontale con il Casiu per l’organizzazione dei corsi che - stando alla versione di Ortolani - avrebbe dato il colpo mortale a un’istituzione che era ormai al capolinea: qualcuno gli aveva fatto credere di poter fare fuori il Casiu? Nel corso del suo intervento, Ortolani ha anche ammesso la vendita della storica sede della Dante, un appartamento all’interno del Palacio Lapido nel centro di Montevideo.

“È stato venduto per 145mila dollari. Tutto è stato fatto secondo le regole notarili e del nostro statuto. Prima di prendere la decisione sono state convocate tre riunioni dove però hanno partecipato solo due o tre persone. Abbiamo provveduto a comunicare la notizia anche al Ministero e all’Ambasciata che ha potuto verificare tutti i documenti”.

La storia non finisce qui. Negli ultimi mesi della Dante in agonia si assiste al classico scaricabarile all’italiana. Nel giugno del 2016 Marco Muselli si presenta al Comites per motivare la richiesta del finanziamento al Ministero per le attività da svolgere nel 2017 che non verranno mai realizzate: la cifra chiesta è 178mila euro.

“Una presa in giro” ripetono dal Comites dato che Muselli non sa praticamente nulla dell’argomento ed è stato mandato lì dalla direttrice Morettini che nel frattempo però è scomparsa da Montevideo. Incredibilmente neanche Ortolani giura di non saper nulla per quella richiesta che aveva fatto insospettire il Comites: “Non capisco chi l’abbia fatto. Questo Muselli non lo conosco. Io non avrei mai chiesto quel finanziamento”.

L’ultimo sassolino dalle scarpe Ortolani se lo toglie contro la sede centrale della Dante Alighieri in Italia: “Da Roma facevano finta di non sapere nulla della situazione. Io spiegai all’attuale presidente tutti i problemi e lui mi disse: mi dia venti giorni e risolvo tutto. Non è mai successo niente. Io ho pensato di fare qualcosa in favore di un’istituzione italiana e non per prendere visibilità. Proprio per questo non me ne sono occupato in prima persona. Non avevo voglia di occuparmi di una cosa che non seguivo. La realtà è che ho trovato una mancanza di coordinazione, una forte contraddizione tra il dire e il fare”.

Matteo Forciniti