L’emergenza numero uno a Genova ora sono i 634 sfollati: pressoché finita la tragica conta delle vittime, bisogna occuparsi di chi nel crollo del ponte del viadotto Morandi ha perso tutto il resto, a partire dalla casa. Quelle case che ora saranno abbattute, perché sotto a una parte del ponte ancora pericolante.

Lo ha detto Salvini (“Entro fine 2018 tutti gli sfollati avranno una casa nuova”), lo ha detto il sindaco Bucci (“Gli sfollati sono la nostra priorità numero uno”). Soprattutto lo dice il buonsenso: quei 634 genovesi non possono rimanere lì a rischiare la vita. E intanto molti di loro chiedono di poter rientrare nelle abitazioni per pochi minuti, giusto il tempo di prendere le medicine che servono loro.

Pochi minuti, probabilmente gli ultimi in cui vedranno ancora le loro mura domestiche e tutti gli oggetti e i ricordi che in quelle mura sono custoditi. Nel tardo pomeriggio di Ferragosto ad alcuni residenti dei palazzi di via Porro, via Fillak e via Della Pietra è stato concesso di entrare per pochi minuti nelle loro abitazioni, a piccoli gruppi e accompagnati da vigili del fuoco e altre forze dell’ordine.

La misura di sicurezza che imponeva di non far avvicinare civili al pilone e alla campata di ponte Morandi che non sono crollati ha avuto una deroga per persone con patologie per cui necessitavano di farmaci non facilmente reperibili e per chi aveva altre particolari necessità. Si tratta però, specificano i vigili del fuoco, di una misura straordinaria. Durante l’attesa al varco sud di via Fillak, nel pomeriggio, una ragazza di circa 16 anni è stata soccorsa da un’ambulanza per un malore. Non è grave. Il numero degli sfollati secondo fonti del governo è intanto salito a 634 unità, per 331 nuclei familiari.