Italiani e cibo: un rapporto intimo e profondo, che non si esaurisce a tavola, ma che anzi continua anche a lavoro, al bar e persino sui social network. Ogni giorno. Questa, almeno, è la conclusione alla quale è arrivata una ricerca condotta da Squadrati per conto di Coca-Cola Italia, secondo cui più della metà degli italiani (il 51%) parla di cibo e di gusti tutti i giorni.

L’analisi è stata realizzata su un campione di 1.504 intervistati di età compresa tra i 18 e i 64 anni e ha messo in luce nello specifico quanto sia vera la percezione che nel nostro Paese parlare di gusti a tavola sia importante quanto lo stesso atto di mangiare. Dallo studio, un po’ a sorpresa, emerge che la propensione a parlare di cibo è più alta in percentuale nella maggior parte dei giovani nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni con una quota che raggiunge il 58%, ma che non ha nulla a che vedere con l’utilizzo dei social network che si posizionano solo al sesto posto fra i “luoghi” in cui avvengono le conversazioni.

Il luogo principe delle discussioni, spiegano i ricercatori, è infatti la casa (80% degli intervistati), seguita da ristorante (53%), ufficio (45%), supermercati (34%), bar (30%). I social network, appunto, arrivano solo al sesto posto con il 20%, nonostante la percezione talvolta superiore che si ricava dalla vista di post e storie sul cibo su piattaforme come Facebook, la più usata (59%) da chi chiacchiera di cibo sui social.

E non poteva che essere la tavola la regina delle discussioni sul cibo visto che proprio lì ne parla l’88% degli intervistati. Tra chi lo fa, il 67% tende a parlare di ciò che sta mangiando e il 20% di ciò che mangerà. Di cibo si parla soprattutto con gli amici (74%) e con il partner (62%): a distanza seguono a pari merito genitori e colleghi (45%). I motivi per cui si parla così tanto di cibo sono soprattutto legati al piacere stesso della tavola, visto che il 44% degli intervistati dice di farlo proprio perché il cibo è uno dei piaceri della vita, e solo il 17% “perché fa parte della nostra cultura territoriale”.

Parlare di cibo è una cosa seria per ben l’82% del campione, ed è forse anche per questo che può persino creare tensioni e divisioni. Mentre il 54% pensa che parlare di cibo sia piacevole e il 41% ritiene che crei socializzazione, per molti, soprattutto fra i più giovani (18-24) può far nascere dei dissapori. Fra di loro sale la percentuale di chi pensa che i momenti in cui si parla di cibo siano “animati” (21% vs. 11% della media ), che creino polemiche (13% vs 8%) o divisioni (12% vs 6%).

Fra i temi più divisivi in fatto di cibo al primo posto c’è la pizza, che fa discutere per il tipo di forno utilizzato per la cottura (elettrico o a legna) e per l’altezza (pizza bassa o alta) a pari merito col livello di cottura della carne che coinvolgono entrambi 3 italiani su 4. Discussioni per 7 italiani su 10 anche sul livello di cottura della pasta: una vera sorpresa in un Paese con il culto degli spaghetti al dente.

Fa il paio con questa, un’altra ricerca, il “Rapporto Coop 2018”, dal quale emerge che il fenomeno alimentare del momento in Italia sarebbe il cosiddetto “ready to eat”, ovvero il cibo pronto. Secondo lo studio «non è un caso che tra i carrelli il pronto faccia registrare un +6% e che l’e-food sia sempre più un’alternativa diffusa tra gli italiani. Solo nei primi tre mesi del 2018, 3,5 milioni di italiani (+80% rispetto al 2017) è ricorso al food delivery, mentre l’online alimentare registra un balzo in avanti di un +34% nei primi sei mesi dell’anno».

Da segnalare anche l’aumento degli acquisti di frutta e verdura, soprattutto confezionata (+ 8,6%), degli alimenti senza glutine (+1%), senza lattosio (+6%) e bio, che continuano a crescere a doppia cifra. In generale però i consumi calano in Italia rispetto al resto d’Europa: rispetto al 2010 si registra un - 2,2% a fronte di un potente +12,7% tedesco, di un +10,2% francese e di una sostanziale stabilità (0,1%) della Spagna. Inoltre la famiglie benestanti spendono quattro volte di più rispetto a quelle a bassa capacità di spesa e tra una famiglia trentina e una calabrese il differenziale all’anno è pari a 10 mila euro.