"La stampa deve essere libera da tutto e da tutti". Parola del ministro e vicepremier Luigi Di Maio. Parole sacrosante, un concetto già fortunatamente tutelato dall’articolo 21 della nostra Costituzione ma, non ce ne voglia lo stesso Di Maio, parole che dette da lui adesso facciamo fatica a prendere per buone e sincere. Sono passati solo 4 giorni da quel "infimi sciacalli" riferito ai giornalisti proprio da Di Maio. Sono passati solo 4 giorni anche da quel "puttane e pennivendoli", riferito ai giornalisti non da Di Maio stavolta, ma da Di Battista, stesso partito, stesso gruppo. Il video in diretta Facebook di Di Maio, così come il post di Di Battista, entrambi usciti martedì 13 novembre, sembrano contenere un passo indietro. Il primo parla di libertà di stampa sacrosanta, il secondo ha cambiato il quasi generico "giornalisti" con "una parte del sistema mediatico".

A questo punto però occorre davvero chiederselo: c’era bisogno di questo video? Dire che la stampa deve essere libera da tutto e da tutti è un concetto radicato nella nostra Costituzione, nella nostra società, è un dato di fatto assodato. Quando qualcuno (Di Maio in questo caso) sente il dovere di ricordarlo è perché qualcun altro ha detto o fatto qualcosa che abbia messo in discussione la libertà di stampa. Il problema in questo caso è che stiamo parlando delle stesse persone. Di Maio e Di Battista attaccano i giornalisti dopo il caso Raggi, Di Maio e Di Battista 3 giorni dopo difendono la libertà di stampa.

Quindi? "Patata bollente" in prima pagina si può scrivere oppure no? Se la stampa deve essere libera, è giusto insultare una categoria intera? Se Di Battista fa nomi e cognomi dei giornalisti "liberi" e "con la schiena dritta", perché non fa i nomi di coloro che a suo dire hanno riempito di fango la Raggi? Perché chiamare i giornalisti "puttane" o "infimi sciacalli"… Ricordiamo che Di Maio giornalista lo è. E che Di Battista dal Sud America sta facendo reportage per Il Fatto Quotidiano… Ricordiamo anche che Carelli, Paragone e altri, sono esponenti di M5S e sono anche giornalisti. Le offese, i titoli sessisti e pesanti, le insinuazioni buttate lì per stuzzicare il lettore, sono concetti brutti che non appartengono al giornalismo tutto, ma allo stesso tempo sono sfaccettature che sono sempre esistite.

Esistevano con Mafia Capitale, con Marino, con Alemanno, con la Boschi (vi ricordate
del cosciometro?), con Berlusconi, con Renzi, con Boffo, con Fini… Possono esistere anche con la Raggi, con Di Maio, con Di Battista senza che arrivino insulti a un’intera categoria? Berlusconi almeno aveva il buonsenso di insultare (con garbo) solo i giornalisti de L’Unità e La Repubblica. Come si tutela la libertà di stampa se poi si viene insultati pesantemente?

Un’ultima considerazione. "La libertà di informazione si garantisce prima di tutto migliorando le condizioni di lavoro dei giornalisti. Soprattutto i giornalisti sottopagati, al limite dello sfruttamento". Questo concetto espresso da Di Maio rasenta il controsenso. Come può la libertà di stampa essere proporzionata ai soldi? Vuol dire che un giornalista che guadagna di più, con uno stipendio fisso, ha maggiore libertà di stampa di chi invece è alle prime armi, sottopagato, senza nulla da perdere. Non è assolutamente così. Quello che potrebbe davvero aiutare la libertà di stampa è abbassare i toni, fare in modo che il pensiero "questo se lo scrivo mi insultano a vita", sia solo un ricordo. E qui il primo passo lo devono fare proprio Di Maio, Di Battista, Paragone, Carelli

Alessandro Avico