Per farsi votare anche dalla marea di elettori disoccupati o comunque "incapienti", per usare un vocabolo inventato da Matteo Renzi, il mitico deputato e sindaco di Napoli degli anni ’50 Achille Lauro inventò i regali per il "popolo", cioè la scarpa sinistra e la destra che sarebbe arrivata solo se fosse stato eletto. I pacchi di pasta, invece, li pagava di tasca propria. Poteva permetterselo, dato che era il ricchissimo fondatore della flotta Lauro, non a caso soprannominato "O'Comandante". Avanti di questo passo Luigi Di Maio, universitario inconcludente e figlio di un piccolo imprenditore edile diventato improvvisamente famoso per far lavorare in nero qualche operaio, rischia di diventare la versione formato mega e postmoderna di O'Comandante. Solo che i quattrini, in questo caso, li sborsa Pantalone e in buona parte l’Italia settentrionale, cosa che Matteo Salvini prima o poi capirà, e anzi pare abbia già iniziato a capirlo, anche perché il Nord in fatto di trasferimenti fiscali a Roma morde il freno da tempo e alle urne può ribellarsi. Ma andiamo per ordine. "Sono in stampa 5-6 milioni di tessere per il reddito di cittadinanza", ha annunciato felice e contento nei giorni scorsi. Più felice di lui la gran parte dei quei 5-6 milioni di persone che contano di poter avere la tessera non perché siano "incapienti" o davvero disoccupati e comunque con le tasche vuote, ma perché – cosa tipica anche del collegio elettorale di Di Maio – lavorano in nero, come appunto i dipendenti di Di Maio padre, o evitano di pagare l’Iva nel caso siano negozianti, artigiani, ecc., o abbiano preferito accumulare soldi in banca evitando di versare i contributi previdenziali per la pensione oltre che evadendo il fisco. Il Bel Paese è la settima potenza industriale del mondo: come cavolo fa ad avere quindi ben 5-6 milioni di poveracci? Pari, si noti bene, a poco meno del 10% dell’intera popolazione! È dunque più che fondato il sospetto, se non la certezza, che nella gran parte dei casi il reddito di cittadinanza, così come concepito e un domani elargito grazie a Di Maio figlio, finirà per arrotondare le entrate di finti poveri e dei lavoratori pagati in nero come da Di Maio padre. Perché mai i dipendenti come quelli di Di Maio padre dovrebbero mettersi in urto col datore di lavoro, e magari ricorrere ai sindacati o alla magistratura, se stando zitti e buoni possono portare a casa oltre al salario in nero, cioè al lordo anziché al netto delle tasse, anche il reddito di cittadinanza fortissimamente voluto da Di Maio figlio? E perché mai i piccoli imprenditori come Di Maio padre dovrebbero pagare i dipendenti non in nero se pagandoli invece in nero possono far figurare al fisco redditi irrisori e magari talmente irrisori da poter avere diritto pure loro al reddito di cittadinanza? Ma a parte i lavoratori e annessi datori di lavoro in nero, negli anni d’oro del giornalismo italiano non si contano le inchieste che hanno dimostrato come il BelPaese sia il paradiso dell’evasione fiscale perché pullula perfino di gioiellieri dal reddito irrisorio ed è affollato da professionisti, negozianti, tassisti, ristoratori e lavoratori autonomi dalle tasche e conti in banca pieni, ma dalla dichiarazione del redditi strappalacrime. Oltre alle lacrime, l’anno prossimo in vista delle elezioni europee strapperanno anche il reddito di cittadinanza. Oltre alla scarpa sinistra, e ai pacchi di pasta, Di Maio figlio vuole regalare subito anche la scarpa destra. Un bel modo di ungere le ruote in vista del voto per le europee. Di fronte a Di Maio figlio "O'Comandante" Achille Lauro era un principiante, un fesso qualunque. A pagare sarà Pantalone. Come sempre. Ma con un’aggiunta: Di Maio figlio pare nutrire invidia e rancore verso chi nella vita non s’è trastullato campando coi soldi di papà e mammà ed è stato infine miracolato da S. Gennaro con un posto in parlamento e al governo, ma ha invece lavorato conquistando buoni ed ottimi posti di lavoro e conseguenti pensioni "d’oro". Dev’essere per tale invidia e rancore che li vuole assolutamente punire. Vuole infatti assolutamente tagliare le loro pensioni del 10-20% per incamerare così non solo e non tanto un po’ di grano in più da distribuire con la pasturazione del cosiddetto reddito di cittadinanza, quanto invece per incamerare anche e soprattutto il plauso degli invidiosi, che si sentono così finalmente vendicati. Il tutto, si noti bene, senza minimamente rendersi conto che le pensioni "d’oro" sono la conseguenza di lavori con stipendi "d’oro", decurtati dai connessi contributi previdenziali d’oro e tasse anch’esse d’oro. Senza cioè minimamente affrontare, e neppure citare, la causa che produce l’effetto "d’oro". È come se si volesse evitare di bagnarsi quando piove ma senza aprire l’ombrello. È da vili prendersela con chi ormai è fuori dal mondo del lavoro e quindi non può reagire, con scioperi e blocchi delle attività, anziché prendersela "con l’ombrello", cioè con chi è ancora nel mondo del lavoro, per giunta in posizione non trascurabile, e può quindi reagire con efficacia. Ma i miracolati, si sa, spesso sono anche vili e, se giovanissimi, pure presuntuosi e supponenti. Meglio scippare un anziano, un vecchio, che rapinare chi può reagire prendendoti a sberle o sparandoti addosso come ha fatto, di recente, anche il gommista Fredy Pacini. Male ha fatto Mattarella a vidimare la nomina a ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro a chi come Di Maio predica non lo sviluppo, ma la "decrescita felice", cioè l’esatto contrario dello sviluppo. E, di conseguenza, l’esatto contrario del lavoro, cioè della creazione di nuovi posti di lavoro. Come sia possibile che la settima potenza industriale del pianeta abbia affidato un tale super dicastero a chi predica l’esatto contrario dei doveri e delle responsabilità del dicastero è un bel mistero: niente affatto glorioso, ma molto italiano. La visione assistenzial/clientelare di Di Maio figlio è tipica del Sud, mentre la visione di Matteo Salvini, per quanto anch’essa improvvisaticcia, è diametralmente opposta perché si rifà all’operosità del Nord, sia pure infarcito anch’esso di evasori fiscali e lavoro nero. Ed è su questa visione "del fare", di memoria anche berlusconiana oltre che bossiana, che la Lega ha raccolto voti anche al Sud. Prima o poi le due visioni si scontreranno, a meno di un pateracchio all’italiana, che peraltro in questi tempi di vacche magre non è detto che funzioni anziché esplodere. Magari anche con rottura territoriale Nord/Sud, perché in fin dei conti quello che vuole Di Maio, che ne sia cosciente o no, è che il Sud campi a sbafo del Nord. I "terroni" che una volta emigravano a Nord per andare a lavorare a Milano, Torino, Genova, ecc., da qualche tempo non partono più: preferiscono restare dove sono e magari arrangiarsi in vari modi, molto spesso in nero e non sempre con attività legali, visto che giustamente devono poter campare anche loro. La strategia di Di Maio è chiara: lui vuole che non potendo avere un salario come lavoratore al Nord chi se ne resta a casa debba poter usufruire comunque di un reddito pagato di fatto dal Nord tramite i trasferimenti a Roma di una bella fetta di quanto incassato con le tasse. Insomma, Di Maio si sta comprando il suo elettorato parassitario pagandolo con i soldi nostri e del Nord. Altro che "O Comandante"! E' però presumibile che una buona metà di quei "5-6 milioni di tessere" vada non a bisognosi veri, che esistono sia al Sud che al Centro e al Nord, ma alla massa dei soliti furbi storicamente e statisticamente molto più frequenti al Sud e al Centro. "Quousque tantem" la Lega si presterà al gioco finanziandolo di fatto di tasca sua? Tanto più che a quanto pare ha già capito che oltre a rimetterci soldi del Nord rischia di rimetterci un bel po’ di voti. E Salvini non ha molto voglia di far finanziare dal Nord la concorrenza: vale a dire, l’elettorato scansafatiche, e scansa-tasse, dell’erede de "O Comandante". Erede che oltretutto sempre di più dimostra di essere in realtà il ministro del Sottosviluppo e della Mancanza di lavoro.