Libertà di discussione, unità di azione. Cosi Lenin definiva il “centralismo democratico” che ha poi ispirato gli statuti di molti partiti comunisti europei, tra cui quello italiano.
Dalle discussioni in direzione fino a quelle della ristretta segreteria del Pci, le linee guida strategiche venivano approvate e quindi votate compattamente. Rarissimo il dissenso, almeno quello esplicito, del tutto impensabile un voto contrario che avrebbe potuto infrangere l’unità del Partito e della sua azione. Gramsci pur ritenendola necessaria, criticò questa forma di Governo del Partito, ravvisandovi i rischi di un “centralismo” che da “democratico” poteva tradursi in “burocratico”, per l’eccessivo peso dei funzionari sulla macchina del partito, contrapposti agli intellettuali incaricati di elaborare ed attuare i piani ideologici del Pci. La Dc, altro grande partito di massa, risolveva il problema della dialettica interna attraverso le “correnti” che, sapientemente governate, davano voce alle tante anime della Democrazia Cristiana. Parliamo della preistoria. I nuovi “partiti di massa” Lega e 5stelle, hanno regole del tutto diverse. E se nella Lega ancora permane qualche sbiadita forma di organizzazione del partito in maniera tradizionale, frutto di un più solido impianto ideologico, nei 5stelle qualsiasi forma di dibattito interno è decisamente inesistente. Le ultime epurazioni, a cominciare da quella più clamorosa di De Falco, critico sull'approvazione del decreto sicurezza, ne sono la riprova. Le decisioni sono prese fuori dal partito-movimento, il potere dell’ufficio stampa guidato da Casalino e Dettori e quello più in ombra della Casaleggio & associati, è assoluto. È Attraverso loro che viene definita la linea politica del movimento, un’azione che non tiene in nessun conto i gruppi parlamentari, in teoria depositari del consenso popolare di cui godono i 5stelle. Centinaia di parlamentari, divenuti tali solo perché miracolati dalla lotteria dei click, vengono convocati via sms solo per votare provvedimenti preconfezionati nelle segrete stanze di una società di capitali milanese e poi comunicati attraverso una specie di ta tze bao telematico chiamato “blog delle stelle”, meno democratico di quello cinese perché li’ almeno potevano scriverci tutti. È successo per il voto sulla legge di bilancio, con tanta modestia chiamata “manovra del popolo”, i cui rappresentanti neanche sapevano su cosa andavano a votare e cosa contenesse quell’unico articolo composto da 645 comma, frutto di un maxi emendamento ad una legge già discussa e “blindata” ma poi alla fine modificata in limine temporis perché non gradita ai detestati Junker e Moscovici.
E succederà ancora perché il Movimento (da cui lo stesso Grillo appare oramai smarcato) non ha la minima idea del significato di uno strumento di veicolo della democrazia (si chiami partito o movimento è uguale) che dovrebbe occuparsi principalmente, con metodo democratico, di incanalare il consenso e rendere operative le scelte politiche, cosi come previsto dalla nostra Costituzione. In buona sostanza, hanno recepito solo a metà l’intuizione strategico-politica leninista. Pretendono l’unità di azione, ma hanno dimenticato la libertà di discussione.