Lo aspettano alla porta della grande Chiesa nel cuore della città, dove già la notte di san Silvestro fa fremere la piazza ombelicale di luci, botti rumorosi, in una febbre di festa quasi “risarcitoria” per tutto quello che è successo dal fatidico 14 agosto del ponte maledetto. Lo aspettano dodici giovani sacerdoti, la croce e il corteo per rendere solenne l'ingresso di sua Eminenza, il cardinale Angelo Bagnasco, giunto all'ultimo Capodanno della sua carriera di arcivescovo di questa città, che finisce il suo anno più infausto. E' la sera del Te Deum, la cerimonia nella quale l'organo gonfia le note del “Veni Creator” e il vescovo-pastore delle anime della diocesi traccia il suo bilancio dell'anno che finisce. E' la sera nella quale, tra Natale e Capodanno, questo cardinale impeccabile nella sua veste porpora, nel tricorno ben calzato, la veste bianca perfetta, lo zucchetto che non scivola, può forse  togliersi qualche sassolino dalle scarpe, a quasi cinque mesi dal crollo. E' lui il “capo” di una Chiesa che si è impegnata anche polemicamente nell'emergenza della città spezzata, piegata, nei grandi problemi di un territorio sofferente, di “sfollati”, danneggiati, incazzati, abbandonati e non.

Sotto quel ponte c'è di tutto, compresa la chiesa dove Bagnasco è andato a celebrare la messa di Natale, i tendoni della Protezione Civile, che stanno per essere smontati, ora che il Gran Cantiere va a essere costruito sul cadavere del ponte, ora che le ruspe, le gru, gli esplosivi stanno per sbriciolare i monconi e le case sottostanti, dove il vento gelido dell'inverno fischia nel vuoto delle strade, dei portoni, degli appartamenti abbandonati, in una fuga che non finisce più da questi cinque mesi.

“Veni creator spiritus, mentes tuorum visita”_ invocano i fedeli della Chiesa del Gesù, mentre Bagnasco sale le scale dell'altar maggiore e gli preparano il microfono e lo piazzano in mezzo davanti alla folla dei fedeli, che sta qui a aspettare un discorso diverso da quello di tutti i fine anno. La Chiesa dei Capellani del lavoro, di molti parroci, ha già parlato duro, il cardinale stesso ha chiesto di fare presto, di non indugiare, ha sferzato, come può sferzare un principe della gerarchia cattolica, severo, misurato come lui che per dieci anni, da presidente Cei, ha contato le parole, ha tessuto la trama dei suoi discorsi ex cathedra davanti ai confratelli. Lui è stato attento, severo, all'inizio magari anche freddo per il suo carattere, tanto che qualche spiffero si era levato da sotto il ponte: “Ma come, sono venuti tutti, qualche ministro anche più di una volta e lui no.....”. Poi Bagnasco era venuto, era andato là sotto a celebrare messe nella chiesa della Certosa, a gettare corone di fiori nel rio secco e anonimo......

Molti suoi preti erano stati molto più chiari, quasi sfacciati, furibondi nel chiedere aiuti, assistenza, nel sollecitare che si facesse presto a rifarlo quel ponte. E tra questi in prima fila, don Massimiliano Moretti, parroco di santa Zita e sul campo leader di una protesta in tonaca e clargyman, che si era allargata, allargata, fino a assumere toni da crociata: “Scendete in piazza, se necessario “_ aveva urlato davanti alle crisi occupazionali a raffica, innescate sotto il ponte, ma anche altrove nella città sofferente, Ilva, Piaggio, Terzo Valico, Rinascente e sullo sfondo la catastrofe Carige, con 4300 dipendenti in bilico. E il cardinale parte subito dal ponte, dalla città ferita, dai 43 morti, che non saranno mai dimenticati, ma ricorda la coesione sociale che è scattata, l'orgoglio genovese che ha reagito allo “sbigottimento davanti all'incredibile che è successo”.

“Cari genovesi _ dice il cardinale_ esprimo ammirazione e gratitudine per questo patrimonio di solidarietà che sarebbe criminale dilapidare.”  Poi la speranza, che non a caso è una delle virtù teologali: “ Dopo alcuni mesi il ponte sarà ricostruito con il sigillo di Genova e la città agli occhi del mondo, che ci guarda, sarà riconosciuta per la sua capacità di reagire. Dobbiamo essere una comunità affidabile, guai se cediamo alla conservazione. Dobbiamo seguire con decisioni sagge e rapide. Domani è tardi”. Rapidi, bisogna essere rapidi_ scandisce il pastore di questo gregge un po' sbandato, un po' fiducioso, che sta nella grande chiesa rassicurante con le sue insigni opere, i suoi capolavori appesi e dipinti sotto le navate e sopratutto parla Sua Eminenza per quel popolo incerto, che sta in attesa fuori, tra le luci delle Feste, come accese in una pista luminosa, tra questo ombelico cittadino e la “zona rossa”, la “zona arancione” , la “zona nera”,  laggiù, in attesa delle ruspe e della dinamite.

Poi è Genova intera, non solo il ponte maledetto, che si merita le parole del Te Deum, le sue difficoltà, poi è l'Italia con le sue incertezze, l'Europa vacillante, cui Bagnasco dedica la sua riflessione acuminata, ma dentro il suo guanto di velluto: quello che attutisce un po' le sferzate al governo giallo-verde sui temi urgenti della legge di bilancio, in quella parte che frusta, tassandola la “bontà” delle organizzazioni del Terzo Settore, di chi organizza l'assistenza, il soccorso dei più deboli e sul tema bruciante dell'immigrazione, con quelle navi cariche di umanità dolente che proprio nelle ore del Te Deum sono sperse in un mare in tempesta, al freddo, senza cibo, con i porti italiani chiusi. Che resteranno chiusi davanti a quelle 49 anime abbandonate.

Obiezione di coscienza_ dirà dopo il cardinale nei giorni dell'Epifania, di fronte alla chiusura secca di Salvini, alla ribellione dei sindaci, Orlando, De Magistris e tanti altri, pronti a violare la nuova legge  che sbarca in mezzo alle città miglia di disperati, senza assistenza e identità, condannati all'accattonaggio e alla delinquenza. Sarà lui, il cardinale di Genova, a schierare per primo la Chiesa intera, tre giorni prima del papa Francesco, due giorni prima del vescovo di Torino, di quello di Bologna, a “armare” i suoi fedeli “contro”, a dettare la linea.

Non per caso nel Te Deum Bagnasco parla dell'Europa, lui cardinale che è anche presidente della Conferenza Episcopale dei vescovi europei, e anche ora il guanto di velluto non nasconde le stilettate ai predicatori di odio e ai sovranisti-populisti, a chi vuole separare, dividere, allontanare, chiudere, “isolazionare. Genova si presenti come rapida, capace di attrarre nuove aziende, di supereare i freni burocratici, di non cedere alla finanza che specula solo, invece di rappresentare un'occasione di investimento e di servizio”_ insiste ancora sulla città dolorante_  “Noi crediamo in un'Europa Unita. Cosa sarebbe un' Europa divisa, ridotta in balia di tutto, lontana dal suo destino di casa per tutti.”

Poi ci sono i giovani, il tema delle loro incalzanti emergenze, che scaldano un po' l'aplomb del cardinale sull'orlo della pensione, che inveisce per questi ragazzi che studiano, studiano in un liceo considerato ancora una buona scuola in Italia, che viaggiano per migliorare, ma che poi sono costretti a emigrare. “E va bene - dice Bagnasco - ma poi devono essere in condizione di poter tornare, perché è giusto lavorare lontano, ma deve esserci l'occasione di rientrare a casa per contribuire a migliorarla...”. Come ha fatto proprio il sindaco, Marco Bucci, colui che sta cercando di ricostruire il ponte, che si equilibra tra quella spinta e le difficoltà e il governo che ha suggerito le decisioni sui ricostruttori.......un ex emigrante tornato a Genova con le competenze accumulate lontano. “Veni creator spiritus, accende lumen sensibus, infunde amorem cordibus, infirma nostri corporis...” _ canta il coro e questo cardinale sembra più fragile e al tempo stesso forte, in mezzo all'altare maggiore.

Le invocazioni della liturgia tradizionale sembrano accompagnare il bilancio severo di Sua Eminenza, che entra secco sul tema del lavoro, le grandi crisi occupazionali da una parte e il mercato dove gli squilibri sono forti: “ Ingegneri, periti, informatici, tutti li cercano, ma a Genova non si trovano_ dice Bagnasco_ Dove sta allora il disequilibrio tra la fuga dei ragazzi e la ricerca delle aziende? Chi ci deve pensare? Il fatto è che siamo in una città in decrescita, dove la denatalizzazione è sempre più spinta. “La natalità così bassa è una piaga” per il pastore del gregge e poi questo lavoro che non c'è quando finalmente c'è spesso diventa ingiusto. Il suo requisito non può che essere la stabilità, perchè senza questo requisito non si fonda nulla, non si crea sopratutto una comunità. Come ci si può affezionare a un lavoro, costruirci sopra il proprio percorso, se tutto è flessibile?” “Va bene - ironizza perfino il cardinale - che oggi è tutto fluido e liquido, ma bisogna stare attenti che questa precarietà non diventi povertà“.

Insomma, sotto il ponte e dintorni il cardinale non trova strade facili per quella coesione che è servita così tanto a reagire al Grande Crollo. Come si fa a andare avanti in una società che premia così tanto la meritocrazia, capace di creare dislivelli nei quali i più deboli precipitano, che tende a semplificare tutto, con il risultato di uniformare a capocchia e che alla fine banalizza ogni cosa. “Perfino la morte e la vita vengono banalizzate_ alza la voce Sua Eminenza_ e anche la giustizia. Si risolve tutto con gli slogan, che riassumono e appunto semplificano. In questo modo si creano circuiti e circoli pericolosi.......”.

Chi può fare da argine a tutto ciò? La Diocesi di Bagnasco fa il suo esame di coscienza, non solo per quanto ha fatto e detto nella tragedia del ponte e della città spezzata. “La Chiesa è vicina senza chiasso e senza propaganda”_ altro che  slogan. “I pastori negli anni della crisi sono stati in mezzo al gregge, mentre i bisogni si moltiplicavano e hanno cercato di salvare la speranza, di dare fiducia, di far vincere la paura. Questo è un dovere, un onore, anche una grazia.”

E si arriva al punto della nuova legge di stabilità, alle sue stangate sull'assistenza, mentre la Chiesa così si prodiga: “In questa situazione come si è arrivati a questa recente legge dei giorni passati che fa pagare al volontariato più del dovuto. Come è stato  possibile?”. E questa è certo la censura più forte, insieme a quella che arriva quando il tema del Te Deum, questa grande ricostruzione dell'anno difficile, del ponte maledetto, arriva al punto cruciale, quello che incrocia tutto: la questione dei migranti e dei deboli.

“Purtroppo in molti Paesi dell'Europa è difficile aiutare i bisognosi” dice Bagnasco che elenca il lavoro certosino della sua Diocesi: 570 mila pasti distribuiti, 40 centri di ascolto, 33 mila persone aiutate, l'incubo di aiutare a soccorrere per pagare gli affitti e le bollette e la metà sono italiani e metà sono stranieri. Ecco il punto, metà sono stranieri, immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, spesso senza dimora....... ”Poi ora ci saranno quelli che il decreto sicurezza sbatte per strada, quelli che i sindaci disobbedienti vogliono salvare, quelli che scuotono tante coscienze.

“L'Italia è in prima linea - scandisce il cardinale - e la fase con cui l'Europa ha avuto coscienza di questo non è stata rapida. Eppure i principi evangelici di accoglienza sono irrinunciabili....Il nostro popolo ha nel suo Dna l'accoglienza, eppure il virus del razzismo e della xenofobia si diffondono, vengono alimentati. Altrimenti come si spiegherebbero certi episodi deplorevoli....”

E' chiara l'allusione ai porti chiusi, alle navi piene di profughi, di bambini ammalati, di donne allo stremo, di un popolo abbandonato per giorni nel mare cattivo, tra un porto chiuso e l'altro, come queste due ultime navi di Ong tedesche che nessuno vuole. Si torna ai muri e ai ponti, i muri del razzismo e della xenofobia e i ponti che crollano come quello di Genova, che un popolo si affanna a ricostruire. Ecco dove si salda il messaggio del Te Deum, dove arriva la storia drammatica, ma dispensatrice di lezioni buone del ponte caduto, fino a quei muri che si alzano nei porti, in mezzo al mare, davanti alle chiusure.

“Veni creator spiritus “_ripete il coro della grande chiesa nel cuore di Genova, mentre il cardinale indossa i paramenti per la celebrazione e la benedizione. E viene alla memoria il verso di quella canzone di un grande genovese, scomparso venti anni fa esatti, Fabrizio De Andrè, che nel testo dell'"Amico fragile” diceva: "Ero più curioso di voi, ero molto più curioso di voi" e, più avanti, "Mi sentivo meno stanco di voi, ero molto meno stanco di voi". Come questo piccolo cardinale, vestito della sua porpora davanti a quel ponte da ricostruire, davanti a quella folla di disperati da accogliere. Meno stanco di loro. Più curioso di loro a cercare la verità e la giustizia degli umani.

Franco Manzitti