È la "regola dell'acqua" la chiave per capire, fuori della politica e del politicismo, l'effetto che ha condannato a un secco dimezzamento il Movimento 5 Stelle, sancito il trionfante sorpasso di Matteo Salvini, e inviato segni di vita a sinistra.

La "regola dell'acqua", affascinante e mobile elemento, è quel comportamento che porta i fiumi a tracimare impetuosi allagando ogni spazio sotto l'onda alta, per poi, passata l'onda, tornare con naturalezza dentro i propri argini.

Più che il sorpasso avvenuto tra i due partiti all'interno della coalizione di governo (sorpasso su cui si sono appuntati i maggiori commenti) dalle urne abruzzesi esce in realtà il senso di questo naturale ritorno nei proprio alvei originari.

Il Centro Destra, apparso stressato, straniato, risentito al proprio interno dall'inizio del nuovo governo, si è ritrovato unito e vincitore in uno straordinario risultato come se mai strappo ci fosse stato: un 48 per cento finale, composto da una affermazione così marcata della Lega (al 27,53 per cento dal 13,8 delle politiche dello scorso marzo e dalla non presenza delle regionali del 2014) da trascinare e valorizzare tutti gli altri componenti della lista, dando il 6,5 per cento (più del doppio rispetto al 2014) a Giorgia Meloni, e limitando la perdita di Forza Italia dal 16,7 delle regionali 2014 e dal 14,5 delle politiche 2018 al 9,04. Rispetto alle regionali precedenti il partito di Berlusconi perde 59mila voti.

Stesso effetto di trascinamento si vede a sinistra, dove un gruppo di liste ottengono il 30,63 per cento, ampiamente bilanciando la caduta di voti del Pd, che con il suo 11,15 per cento scende dal 25,4 delle regionali del 2014, e dal 14,3 delle politiche 2018, perdendo il 14 per cento rispetto al 2014, bruciando 105mila voti.

Il limitato ruolo del Partito democratico però, invece di portare al collasso finale, ha rimobilitato il consenso di una parte della sua area sociale che vota in percentuale superiore al 2014.

Effetto invece drenaggio, e siamo ancora all'acqua, per i pentastellati che passano dal 40 per cento delle politiche 2018 al 20,2 attuali.

Scendendo persino sia pur di poco sotto il 21,4 per cento delle ultime regionali del 2014.

Tutto questo non racconta tanto o solo, come si diceva, il cambiato rapporto di forza tra Lega e 5 stelle, quanto un nuovo spostamento di voti, significativo nei numeri, certificato anche dall'autorevole Istituto Cattaneo, che prova quanto ancora flessibile e fluido sia il consenso degli italiani.

E prova anche come questo movimento di voti rovesci la tendenza che abbiamo visto in crescita finora: il consenso che i 5 stelle hanno sottratto alla destra e alla sinistra ora, almeno in Abruzzo, in parte ritorna alla sua area di provenienza. Torna insomma, nel suo alveo originario.

Il segnale è quello di una decisione nuova da parte dell'elettorato, una sorta di ritorno sui propri passi.

Che pone molti interrogativi. Ci si può leggere dentro una stanchezza, o un chiarimento.

Di sicuro, dopo vari mesi di governo l'elettore sembra aver scelto di consolidare il proprio voto riscegliendo gli elementi più forti del governo, come la Lega, o la linea di opposizione più convincente, come una sorta di sinistra più laica e meno burocratica.

I cinque stelle si difendono già da questa analisi (a proposito: è forse un caso che ci sia un lungo silenzio post-risultati dalle parti pentastellate?) invocando il fatto che la loro scelta di correre da soli li rende meno competitivi sul piano locale e che l'8 per cento in più di astensione rispetto al 2014 ha assorbito i suoi voti.

Ma dopo il loro strepitoso risultato delle ultime politiche avrebbero dovuto piuttosto vedere segni di un consolidamento territoriale.

Il fatto è che, e qui perdonate l'ultima volta la citazione dell'acqua, hanno avuto dalla loro parte una incredibile onda di rabbia, speranza, rivolta persino. Sono stati appunto il fiume che trabocca e allaga tutto.

Ma la piena non ha sedimentato nulla, non ha trovato sbocchi nuovi. Sono stati troppo di qua e di là, troppo improvvisati sui loro obiettivi, troppo confusi nella identità, né di destra né di sinistra, né con le elite né contro le elite, con la giustizia ma forse anche no se si tratta del governo. Insomma hanno invaso tutto ma costruito poco – salvo quel reddito di cittadinanza che rimane a tutt'ora l'unica loro ossessione e carta di presentazione sui cui si sono concentrati.

Troppo poco di fronte a una incertezza sociale grave e a forti timori del futuro.

Avremo tempo per verificare questa lettura, per vedere soprattutto se il fenomeno si ripete e si consolida nelle prossime tornate di voto, in Sardegna il 24, e poi alle europee a Maggio.

Ma nel frattempo, l'acqua in cui sono cresciuti comincia ad abbassarsi.

di Lucia Annunziata