Gli abiti sono tutti confezionati nella sartoria di Montreal, il materiale arriva tutto o quasi dall'Italia. E anche il sarto, ovviamente è italiano. Ma Domenico Vacca non è un sarto qualsiasi e se l'eredità l'ha raccolta dal padre Giovanni, oggi 'Giovanni Clothes', così si chiama la boutique è riconosciuta come la sartoria della NHL, la National Hockey League. E si può anche aggiungere che se non si conosce la storia dei Vacca, passando davanti al negozio di Montreal, mai si potrebbe immaginare quello che c'è dietro e dentro.

Giovanni e Domenico Vacca hanno infatti confezionato gli abiti per centinaia di campioni, personaggi famosi, da Mario Lemieux, una leggenda a Sidney Crosby fino a Brent Burns. Ma le celebrities e miti dello sport che hanno indossato un abito di Giovanni e Domenico davvero non si contano. Anzi di alcuni non si può nemmeno fare il nome, perché magari hanno un contratto di sponsorizzazione con qualche azienda di abbigliamento alla quale non farebbe piacere sapere che poi, invece, il completo se lo fanno fare a Montreal.

Giovanni Vacca era un immigrato italiano che nel 1965 fondò l'azienda e nei primi due decenni di esistenza si concentrò sul mercato all'ingrosso, vendendo abiti per altri marchi. Poi ecco arrivare gli anni Novanta con Domenico Vacca che ha cominciato a girare per le città della MLB, la Major League Baseball, confezionando i vestiti per diversi giocatori. Sport, ma anche il settore dei liquori, segmento questo trovato grazie ai suggerimenti del nipote di Mudcat Grant, un All-Star. Oggi sono 800 i clienti di quell'ambito che si vestono da Vacca. Ma l'hockey, quello è un impero tutto di Domenico Vacca. Aveva cominciato con alcuni giocatori dei Calgary Flames, poi quando Dan Quinn fu ceduto ai Pittsburgh Penguins nel 1986, la sua eleganza contagiò i nuovi compagni di squadra. Un effetto domino. Kevin Stevens, che a Pittsburgh aveva vinto due Stanley Cup, il titolo della NHL, quando fu ceduto ai New York Rangers disse a Domenico Vacca che sarebbe dovuto andare al loro campo di allenamento.

"Mi sono sistemato nella sala conferenze dell'albergo - ha raccontato Vacca - e Stevens ha portato giù tutta la squadra. Credo di non aver mai venduto tanto come quel giorno, 60 abiti. Pazzesco. Poi da quel momento non mi sono più fermato". Una squadra dopo l'altra. E oggi Vacca passa quasi tutto l'anno in giro per gli Stati Uniti e il Canada, prende almeno 225 voli l'anno, viaggia con i libri con tutti i campioni di tessuto e i fogli d'ordine. Prende le misure ai giocatori, spesso sulla pista, poi spedisce l'abito confezionato entro quattro settimane dall'ordine. Attualmente, come prezzi, si va dai 1400 ai 2500 dollari. Si alza ogni giorno o quasi alle 3,30 della notte ed è toccato alla moglie allevare e crescere i loro quattro figli che adesso hanno dai 18 ai 26 anni. In febbraio, per rimanere all'episodio più recente, da Nashville aveva programmato di essere a casa a Montreal per San Valentino.

"Ma non è stato facile. Ero su tre voli differenti, acquistato tre biglietti con altrettante compagnie aeree. Ma alla fine mia moglie è stata molto felice di vedermi tornare a casa". Quando un paio di stagioni fa i Penguins hanno vinto il titolo, in contemporanea 31 persone facenti parte della organizzazione del club di Pittsburgh gli hanno ordinato un completo. Più o meno è successa la stessa cosa con i San Jose Starks e con i Washington Capitals. In questi anni però non solo è cambiata la moda, ma anche i giocatori. "Una volta erano molto grandi - racconta Vacca - grossi, pesavano anche parecchio e la parte superiore del corpo era di grandi proporzioni. Oggi sono più piccoli sopra, muscolosi, ma le loro gambe e i loro fianchi sono davvero grandi". E i giocatori sono più attenti alla moda, anche perché le occasioni per indossare il completo sono maggiori, anche se è solo una foto sui social media.

Poi ci sono i vestiti di Don Cherry, commentatore conosciuto dappertutto per la sua stravaganza, senza dimenticare che adesso il vestito si indossa anche per le immagini su Instagram delle squadre. Domenico Vacca, oggi ha 53 anni, ha iniziato a lavorare con suo padre Giovanni quando di anni ne aveva 13. Il sabato, quando non andava a scuola, puliva le macchine da cucire e preparava il caffè, nessun privilegio: doveva cominciare alle 7 del mattino. Così ha continuato anche quando frequentava la scuola superiore, poi il college nel Quebec, ma lì a un certo punto ha detto basta, ha lasciato per dedicarsi completamente all'attività del padre, che poi è diventata la sua. "Mai avevo pensato che mi sarei ritrovato qui". Invece...

Roberto Zanni