I loro genitori e i loro nonni lasciarono l’Italia nel secolo scorso alla ricerca di un futuro migliore in Venezuela. Oggi i figli e i nipoti di quegli italiani sono tornati a partire a causa della grave crisi sociale e politica che sta attraversando il loro paese. Alcuni effetti di questa crisi si possono vedere anche in Uruguay dove negli ultimi anni è cresciuto enormemente il numero di cittadini venezuelani favoriti anche da un politica migratoria di accoglienza che ne facilita l’arrivo. Alcuni di questi venezuelani hanno origini italiane. A loro abbiamo chiesto di raccontarci la loro storia per capire qualcosa in più di questa nuova ondata migratoria di seconda e terza generazione legata a doppio filo al passato. Nonostante la forte differenza ideologica che li separa, i governi di Italia e Uruguay condividono stranamente la stessa posizione sull’argomento mantenendo una posizione neutrale e chiedendo allo stesso tempo libere elezioni come espresso dal cosiddetto gruppo di contatto di cui fanno parte.

Víctor Márquez ha 23 anni e viene da San Antonio de Los Altos, città del nord del Venezuela dove nel 1956 arrivò il nonno partito da Amantea (provincia di Cosenza). Studente universitario, militante politico liberale, un anno fa Víctor ha deciso di trasferirsi in Uruguay per "motivi politici" a causa di un "clima pesante" creatosi intorno a lui e alla sua famiglia. "Due anni fa, durante una delle tante manifestazioni che organizzavamo all’università, la polizia sequestrò mio fratello. Lo accusarono di reati inesistenti tra cui l’istigazione alla violenza e gli proibirono l’uscita dal paese. La repressione del governo iniziava a farsi sempre più forte, la mia famiglia era molto preoccupata e per questo presi la decisione di partire. Dal momento in cui iniziai a partecipare alle proteste sapevo bene a cosa andavo incontro: in Venezuela non esiste lo stato di diritto, è da tanti anni che si sta cercando di indebolire il sistema democratico che oggi è praticamente inesistente. 3 milioni di venezuelani si sono trasferiti all’estero negli ultimi anni e questo vorrà pure dire qualcosa".

Quando parla dell’accoglienza ricevuta in Uruguay Víctor ricorda le parole del nonno calabrese: "Sono cresciuto ascoltando le sue storie. Lui mi diceva sempre che bisogna ringraziare le persone che ti danno una mano e io qui ho trovato tanta gente che mi ha aiutato per questo sono enormemente grato". Ha una punto di vista molto diverso invece sulle posizioni assunte dai governi di Uruguay e Italia sulla questione venezuelana che "non rispecchia assolutamente la realtà". Se nel primo caso individua "una vicinanza ideologica" come giustificazione, nel caso dell’Italia vede un "timido nazionalismo" di cui però è ulteriormente critico: "Noi che abbiamo due nazionalità dobbiamo esigere al governo italiano una posizione più dura nei confronti del regime di Maduro. È un nostro diritto. Io credo che questa sia una forma di rivendicazione di una cittadinanza attiva". È anche per questo motivo, dice, che lo scorso 7 febbraio è sceso in piazza a Montevideo per protestare contro la riunione del gruppo di contatto e per chiedere una condanna a una "dittatura di criminali e narcotrafficanti che è diventata una minaccia per tutto il contenente americano".

La situazione di Paola Vincenzi, pensionata sessantacinquenne, è molto diversa rispetto alla maggior parte dei venezuelani arrivati in Uruguay. Lei è nata a Milano ed è stata per tanti anni professoressa di italiano a Caracas. 6 mesi fa ha deciso di raggiungere la figlia in Uruguay portando con sé l’altro figlio e oggi vivono tutti insieme a Ciudad de la Costa ma sta cercando una nuova sistemazione. "In Venezuela non c’è più niente, la situazione è tragica e la gente muore di fame. È diventato un posto invivibile. Manca il cibo, mancano le medicine, insomma manca tutto. Io con la mia pensione non riuscivo a comprare una dozzina di uova, questa è la drammatica realtà di tutti i pensionati. C’è una dittatura fuori controllo guidata da un gruppo di assassini responsabile di questa grave crisi umanitaria. La gente ha paura, chi può scappa e lascia tutto per cercare di salvarsi".

Nonostante l’accoglienza "commuovente" ricevuta in Uruguay, Paola vede nella mancanza di lavoro oggi il problema più importante. "Sto cercando lavoro ovunque" racconta senza mai però scoraggiarsi. "Ho una certa età ma posso ancora lavorare e vorrei non disturbare mia figlia. Qui è un po’ difficile ma in ogni caso tutti apprezziamo molto il fatto di vivere in pace in un paese sicuro e tranquillo". Quando parla dell’Italia il suo dolore è ancora più forte come se ci fosse una seconda ferita: "Non si può minimamente immaginare cosa sta succedendo. L’atteggiamento dell’Italia nei nostri confronti è una vergogna, ci ha completamente abbandonato, ci sentiamo doppiamente traditi. Ci sono tanti italiani malati a cui non arrivano le medicine. Forse queste informazioni non arrivano in Italia".

Anche Gabriela La Manno è partita due anni fa da Caracas insieme alla sua famiglia. In Venezuela si erano stabiliti il nonno, un emigrato siciliano che si arruolò come medico nella prima guerra mondiale, e la nonna trentina. È una delle poche persone che dice di essere iscritta all’Aire di Montevideo e di aver anche rinnovato recentemente il passaporto. "Mio marito" -racconta- "era venuto in Uruguay un anno prima a cercare lavoro. Io e la bambina lo abbiamo raggiunto in seguito. La situazione nel nostro paese stava peggiorando, avevamo paura che se aspettavamo ancora un po’ di tempo non ci facevano più uscire. Dall’arrivo di Chávez al potere nel 1998 si è progressivamente creata una forte polarizzazione all’interno della società. Si è cominciata a diffondere l’idea che chi aveva qualcosa lo aveva rubato e dunque bisognava toglierlo. La gente oggi ha paura. Io non credo che ci possa essere una soluzione pacifica e democratica a questa crisi. Questi che sono al potere da vent’anni hanno fatto di tutto, hanno rubato e ammazzato. Non credo che faranno un passo indietro".

Alimentazione, sicurezza, lavoro, medicine: Gabriela sostiene che ogni aspetto della vita quotidiana è stato pesantemente colpito dal regime chavista. Un esempio aiuta a capire: "Un giorno mia figlia aveva delle coliche allo stomaco, qualcosa che è abbastanza comune in un neonato. Sono andata in 21 farmacie diverse ma nessuna aveva le medicine. Le ho trovate al mercato nero cambiandole per un chilo di zucchero". Altro problema ricorrente è la sicurezza: "Mio marito è stato sequestrato e derubato ma quando è andato a denunciare l’accaduto ha scoperto che i ladri erano i poliziotti. La corruzione è dilagante, la violenza è all’ordine del giorno". È per tutti questi motivi che "la gente sta scappando e le famiglie si stanno dividendo lasciando soli e in pericolo i più anziani". Oltre alla buona accoglienza e alla disponibilità, l’italo-venezuelana ha trovato in Uruguay un grande desiderio di curiosità perché "le persone vogliono sapere cosa succede realmente". Per l’Italia invece riversa solo parole di indignazione: "C’è un momento nel corso della storia dove occorre prendere decisioni forti non si può rimanere imparziali e aspettare. Vista la grande comunità italiana in Venezuela ci sentiamo indignati. Non ci meritiamo questo silenzio".

Matteo Forciniti