I numeri, che affondano le radici nel tessuto reale del Paese, dicono 0. Crescita zero. Così ha scritto il Centro studi di Confindustria nel rapporto in cui ha sancito che l'Italia è ferma, immobile. Con il Pil a zero bisogna fare i conti e i conti li deve fare il governo, a cui spetta il compito di trovare le soluzioni. Però c'è il bisogno, politico e urgente, di Lega e 5 stelle, che devono scavallare le elezioni europee senza dolori, evitando quindi una manovra correttiva, cioè sacrifici da scaricare sulle spalle e nelle tasche degli italiani.

E il Tesoro, pressato dalle richieste dei due partiti, cosa tira fuori? Un Documento di economia e finanza da inviare a Bruxelles che ha la forma della "truffa" perché dentro si pomperà il Pil con un decreto che è definito urgente e per la crescita, ma che è a spese zero e privo di risorse fresche. E' poco ma quel poco basta perché tanto - è la considerazione che viene fatta da diversi ambienti dell'esecutivo - il giudizio di Bruxelles arriverà il 6 giugno. In quella data i cittadini avranno già votato e pazienza se i problemi saranno ancora da risolvere. In autunno bisognerà trovare 23 miliardi a meno che non si decida di aumentare l'Iva, ma fin lì il piano del governo ancora non si spinge. Quello che si sta preparando a via XX settembre è un Def dal fiato corto, che maschera i problemi di un'economia a un passo dalla recessione. Secondo quanto ricostruito da Huffpost, il quadro prenderà atto della frenata che intercetta lavoro, consumi, investimenti, produzione, in sintesi l'intera capacità produttiva del Paese.

E così il Pil tendenziale (al netto di nuove misure nell'anno) sarà collocato appena sopra lo zero, a +0,1%, mentre il deficit al 2,4 per cento. Se si dovesse fermare qui il governo certificherebbe il fallimento delle proprie politiche economiche perché le stime del Pil, e di conseguenza del deficit e del debito - i principali indicatori che misurano lo stato di salute dei conti pubblici - erano ben altre appena qualche mese fa, quando si è giocata la partita della manovra. Il bagno di realismo questa volta c'è perché di fronte ai dati di Confindustria, sommati a quelli dei principali osservatori nazionali e internazionali, non si può parlare più di crescita intorno all'1 per cento.

Rasentare lo zero non è quindi accettabile per il governo. Significherebbe chiudere dopo qualche settimana la narrazione dell'anno bellissimo del premier Giuseppe Conte, ma anche quella della caccia ai gufi lanciata oggi da Matteo Salvini, oltre che all'ottimismo sbandierato di Luigi Di Maio. Ecco allora che al Def si accoppierà il decreto per la crescita. Un provvedimento a cui hanno lavorato il ministro dell'Economia Giovanni Tria e Di Maio, nella convinzione del secondo di spingere il primo a usare questo espediente per sostanziare la messa in scena. Perché altro non è che una messa in scena quella di pompare il Pil con un decreto di plastica, dove trovano spazio qualche incentivo (tra gli altri il super ammortamento voluto dal Pd e soppresso da Lega e 5 stelle appena qualche mese fa) e tante dichiarazioni di intenti sul made in Italy e sugli investimenti.

La direzione di marcia nel Def dirà invece che questo decreto porterà 1-2 decimali al Pil programmatico, quello cioè che prende in considerazione gli interventi messi in campo dopo la manovra. E così la narrazione del governo che punta sulla crescita - ribadita anche ieri da Tria e Di Maio, rispettivamente in Cina e negli Stati Uniti per sostenere la credibilità dell'Italia - si sostanzierà della considerazione che l'unico modo è spingere così, con piccoli passi sul Pil e maglie larghe sul deficit. Sì, il deficit, il campo di contesa tra Roma e Bruxelles durante la gestazione della manovra, con Salvini e Di Maio che volevano il 2,4% e Tria l'1,6%. Il primo tempo lo vinsero i due partiti di governo, il secondo, quello decisivo, ha portato a un dietrofront fino al 2,04%, necessario per fermare la procedura d'infrazione che Bruxelles era pronta ad attivare. Come ritornare a giustificare e far passare un deficit al 2,4% e allo stesso tempo evitare che l'Europa prescriva una manovra correttiva? Con i numeri della crisi.

Il governo gialloverde dirà a Bruxelles che l'economia sta precipitando, non solo in Italia, e che tutto serve tranne che una correzione dal carattere recessivo. L'unica strada è quella della cre scita ed ecco qui che tra le mani dei funzionari europei sarà messo il faldone del decreto crescita. E' un effetto con due direzioni opposte quello che punta a convincere la Commissione europea: se il Pil va sempre più giù allora il deficit può andare più su. Senza correzione, però, anche perché la stessa Europa valuta se prescrivere un intervento di questo tipo prendendo in considerazione il deficit strutturale, al netto del ciclo. Per dirla in maniera secca: l'economia rallenta, il deficit può aumentare per questo motivo, la correzione non serve. Al massimo il governo è disposto a mettere sul piatto i 2 miliardi congelati con la manovra: significherà sì ridurre le risorse destinate all'economia reale, ma sono sacrificabili in un contesto dove invece una correzione significherebbe trovare almeno 5-6 miliardi. Il gioco delle tre carte per superare le elezioni europee non risolve di certo i grandi problemi che zavorrano i conti pubblici.

Ad autunno si dovranno trovare 23 miliardi a meno che non si decida di aumentare l'Iva, cosa che né Di Maio né Salvini vogliono mettere in conto. Nel Def, che dovrà essere presentato entro il 10 aprile, si scriverà che l'impegno è quello di disinnescare le clausole di salvaguardia sull'Iva, cioè che quei 23 miliardi si troveranno. Come? Ad oggi non si intravede soluzione, ma dopo il voto di maggio ci potrebbe essere un'altra Europa e le maglie del deficit - l'espediente con cui negli ultimi anni si sono disinnescate le clausole - potrebbero diventare più larghe. Ma questa è una storia che il governo ancora non ha scritto.

di GIUSEPPE COLOMBO