Vini, vini. 13 miliardi il fatturato italiano del settore nel 2017. 310 mila le aziende agricole del comparto vinicolo in Italia. Produciamo 55 milioni di ettolitri di vini l’anno, con una crescita del più ventinove per cento nel 2018. L’idea di cosa siamo nell’ambito del vino è reperibile facilmente nel dato relativo alla produzione mondiale: 282 milioni di ettolitri.

Il motivo d’orgoglio va individuato inoltre nei numeri che riguardano la Francia, che distanziamo come produttori: 46,4 milioni di ettolitri per i nostri vicini francesi. Lontani Spagna e Stati Uniti, rispettivamente con 40,9 e 23,9 milioni di ettolitri. L’esportazione, poi: all’estero l’Italia nel 2018 ha inviato vini per 6,15 miliardi di euro. Il comparto è ossigeno puro e sostegno vero per l’economia italiana, anemica e da anni fortemente a disagio. Gli Usa sono i migliori importatori dei nostri vini. Nel 2018 gli americani hanno bevuto Italia per 1,68 miliardi di euro. Germania e Regno Uniti a seguire. I dati, onesti e sinceri, facilmente verificabili, sono forniti da Ismea, Vinitaly, Agea, Oiv, Nomisma, Wine Monitor. L’esportazione di vini è una delle poche cose in grado di regalarci ampi sorrisi, non solo l’ebrezza.

In questa chiave si presenta ed è in corso di svolgimento Vinitaly. La tradizionale rassegna annuale (fiera, mostra, momento di confronto e quant’altro) di Verona ospita 4.600 aziende in rappresentanza di trentacinque Paesi. Un successone, peraltro ampiamente scontato. Un clamoroso bis, a fronte dall’incertezza che proviene dalla burocrazia. L’unica contraddizione, e anche forte, in grado di mandare a ramengo i primati italiani nelle esportazioni del vino. Da Vinitaly emerge una speranza/ necessità, legata a un’eventuale apertura di una via alcolica della Seta. Aperta ieri a Veronafiere, la più grande edizione di sempre di Vinitaly si concluderà mercoledì 10 aprile. Il Salone Internazionale dei vini e dei distillati occupa un vasto, vastissimo spazio, misurabile con l’area di quattordici campi di calcio messi insieme.

Presenti nella domenica di apertura della rassegna le alte cariche istituzionali, ad eccezione del presidente della Repubblica. Uno dopo l’altro sul palco si sono avvicendati tutti, citabili in ordine dine di presentazione: la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, il governatore Luca Zaia, il vice premier Matteo Salvini, il ministro delle Politiche agricole, Gian Carlo Centinaio. E nel primo pomeriggio, il premier Giuseppe Conte. Vinitaly è diventato nel tempo un autentico gigante. Mai così, prima di quest’anno. Un esercito di vignaioli, cantinieri e sommelier. Si calcola che alla fine della manifestazione saranno stappate 50mila etichette diverse. Sono attesi 120mila visitatori. Un successone non imprevisto per la prestigiosa rassegna giunta alla edizione numero 53.

In principio, nel 1967, si chiamava "Giornata del Vino". Una cosa piccola piccola rispetto all’attuale Vinitaly, che ha avuto come preludio alcolico, sabato, l’Opera Wine, organizzata dalla rivista americana Wine Spetactor. Eccolo, quindi, in versione gigantesca il termometro misuratore dello stato di salute del vino italiano. Si attendono ulteriori risposte positive. Laddove non è oggetto di esito brillante il consumo in Italia: spediamo 14 miliardi l’anno in vini rossi, rosati e bianchi. Il fatturato complessivo del Vigneto Italia potrà crescere in conseguenza dell’eventuale conquista di nuovi mercati. A partire appunto dalla Cina, la nuova terra promessa in Asia. Verso l’immenso Paese l’Italia esporta vini per 143 milioni. Praticamente niente rispetto alla Francia, lontanissima con 903 milioni di euro. L’obiettivo è il raggiungimento di quota 7,5 miliardi di export entro il 2020, come auspicato dall’allora premier Matteo Renzi nel 2016, in occasione dell’arrivo di Jack Ma di Alibaba a Vinitaly. Un obiettivo che oggi sembra non più irraggiungibile. Grazie anche agli accordi bilaterali di libero scambio.

Il fattore che elimina l’impari concorrenza che costringe l’Italia a pagare dazi fino al venti per cento in Cina. Sapete quanto paga l’Australia? Zero. Il ministro Centinaio annuncia intanto lo sblocco di 100 milioni alle Regioni per la promozione del bere italiano nel mondo. Soldi buoni, veri, speriamo che arrivino. Ma come sono messi i vini italiani nella classifica mondiale? Hanno compiuto indubbi passi in avanti, step dopo step. Nell’ultima graduatoria pubblicata da Wine Spetactor il Sassicaia è risultato il miglior vino al mondo. Mentre scivola un tantino all’indietro, e sorprende, il calo in classifica delle industrie di Doc, Docg e Itg. Godono infatti di "fiducia condizionata". Vinitaly non sembra fare caso a questo dettaglio, che non riduce minimamente il successo della rassegna mondiale del vino. A Veronafiere è sempre festa, tutti i giorni, negli stand e nelle dimore. Molto apprezzata la parata di chef pluristellati: Carlo Gracco, Chicco Cerea, Moreno Cedroni, Enrico Bartolini, Gianfranco Vissani. Buon appetito e buon vino a tutti. L’unica difficoltà è la scelta, a tavola e negli stand c’è troppo di buono