Grazie all’intuizione di un pool di ricercatori dell’Università Niccolò Cusano la Lego Therapy compie un importante balzo in avanti. Si inaugura, infatti, presso il Centro Clinico un “Club Lego” destinato a bambini, tra i 6 e i 12 anni, chiamati a costruire castelli, assemblare navicelle spaziali o a dare vita ai personaggi di Star Wars.

Non più da soli ma in gruppo, così da valorizzare l’aspetto sociale della terapia a base di Lego, i mattoncini colorati che fanno impazzire i bambini stimolandone curiosità e attività cognitive.

L’idea di personalizzare la Lego Therapy, metodo messo a punto nel 2004 dallo psicologo statunitense Daniel LeGoff dopo aver osservato l’interesse di due bambini autistici nell’interagire con i mattoncini presenti nella sala d’attesa, è della preside della facoltà di Psicologia dell’Unicusano Gloria Di Filippo, della neuropsichiatra infantile Caterina D’Ardia e della psicologa psicoterapeuta Nicoletta Vegni. Un team di ricercatrici che pensano che una terapia debba essere coinvolgente per i bambini e adattata ai loro interessi e alle loro capacità.

Diversi studi hanno dimostrato che l’uso dei mattoncini Lego può aiutare a sviluppare le abilità sociali di chi soffre di disturbi dello spettro autistico o di altri disturbi del comportamento, come ad esempio i disturbi di tipo ansioso depressivo, l’iperattività o problemi di regolazione del comportamento. I partecipanti alla Lego Therapy mostrano un miglioramento in alcune competenze che prevedono la presenza dell’altro: imparano a condividere un progetto comune, ad attendere il proprio turno, a seguire le regole di comportamento e a sviluppare un maggior interesse nei confronti dei coetanei.

Ma in che cosa consiste il tocco particolare della Lego Therapy firmata Unicusano? “Come prima cosa si formula una diagnosi clinica e, poi, si cerca di comprendere se il bambino sia incuriosito o meno dai Lego - spiega la professoressa D’Ardia – Noi riteniamo utile prima costruire un rapporto individuale con il bambino e solo in un secondo momento lo inseriamo all’interno di un piccolo gruppo”. Ogni incontro dura un’ora e nella stanza è presente un armadio a cui il bambino può accedere durante la seduta con scatole di mattoncini e set Lego. Sulla parete sono appese “le regole” che ogni volta vengono lette tutti insieme: dal “se lo rompi si ripara” al “se hai bisogno di aiuto devi chiedere”, al “una volta finito si mette a posto”. Un modo per responsabilizzare e rendere partecipi i bimbi.

La cosa interessante è che i bambini sentono di appartenere a un vero e proprio “Club Lego”. “Abbiamo detto ai bambini che fanno parte di un circolo e che sta a loro farlo crescere e renderlo ancora più unico - afferma D’Ardia - A ciascuno consegniamo una tessera personale con nome e cognome e questo li fa sentire parte di un gruppo. La card funziona come una tessera a punti: i punti vengono messi quando, al termine della seduta, il bambino ha partecipato e seguito le regole del Club, e alla fine, al raggiungimento di un certo traguardo, si riceve un premio. Si tratta di un riconoscimento simbolico come la possibilità di scegliere quale set Lego usare la volta successiva oppure la conquista di uno dei personaggi del gioco”.
I genitori, in contemporanea, sono seguiti con incontri regolari dalle ricercatrici e vengono supportati con colloqui e percorsi ‘ad hoc’.