Due mesi fa il vicepremier Luigi Di Maio dagli Stati Uniti prometteva: "Auspico nei prossimi giorni di poter lavorare a una norma specifica sugli italiani all’estero, che consenta di non escluderli sul reddito di cittadinanza". In quella conferenza stampa assicurava che non esiste "nessuna volontà di escludere gli italiani all’estero" dalla misura simbolo del Movimento 5 Stelle nel Governo giallo-verde nonostante il requisito di risiedere 10 anni continuativamente in Italia per accedere al programma. Questo requisito della residenza, ha spiegato, è stato inserito "per evitare che l’effetto delle ondate migratorie, che adesso non ci sono ma potrebbero esserci nei prossimi anni, incidesse sulla spesa del reddito".

Il tempo passa e risultati concreti non se ne vedono. Quelle di Di Maio sono state le solite promesse quando si parla di italiani all’estero? L’ipotesi di allargare gli aiuti economici fuori dall’Italia, ovviamente, porterebbe con sé dei seri problemi a partire proprio da una legge sulla cittadinanza molto generosa. Due mesi dopo dall’entrata in vigore del provvedimento cavallo di battaglia dei grillini, secondo i dati ufficiali circa 750mila famiglie (di cui il 70% al sud) stanno ricevendo il contributo dell’Inps. In Uruguay si respira un clima di grande scetticismo al riguardo. Nessuno sembra credere alle promesse di Di Maio sentendo il clima che si respira all’interno dei patronati italiani di Montevideo che assistono le fasce della popolazioni maggiormente sensibili al tema.

Renato Palermo, coordinatore del patronato Inca, va subito al cuore del problema e lo dice chiaramente: "È logico che se noi parliamo di diritti una misura del genere dovrebbe includere anche gli italiani che si trovano all’estero. Qui però c’è un problema generale e riguarda questo Governo e il poco interesse che nutre verso gli italiani che vivono fuori i confini nazionali dimostrato in molteplici occasioni. Oltre alla nomina (per la prima volta) di un sottosegretario nato all’estero e che conosce bene la nostra realtà, l’esecutivo non ha fatto più niente. Si è fermato lì". Consigliere uruguaiano del Cgie (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero), Palermo crede che non ci sarà niente di quanto promesso considerando particolarmente grave "l’esclusione dei cittadini nati in Italia che decidono di rientrare".

Sulla stessa linea c’è anche il patronato Inas attraverso le parole della responsabile Filomena Narducci: "Sono scettica al riguardo. Questo Governo sta dimostrando un forte disinteresse verso gli italiani all’estero. Stiamo perdendo diritti storici conquistati dopo anni di battaglia" dice riferendosi alla riduzione del numero di parlamentari. Un reddito di cittadinanza pensato per l’estero, sostiene la Narducci, "ci dovrebbe essere se il Movimento 5 Stelle compisse le promesse che aveva fatto durante la campagna elettorale". "Se nessuno può prendere meno di 780 euro" -prosegue fornendo un esempio concreto- "allora anche per i pensionati ci dovrebbe essere un’integrazione nell’assegno. Casi diversi sono invece coloro che non hanno niente ma lì sorge un problema prima di tutto giuridico".

"Non ho la capacità tecnica per commentare questa notizia" dice con grande sincerità Elena Bravindel patronato Acli perché "bisogna prima definire di quali persone stiamo parlando e come potrebbe essere implementato all’estero. È un tema abbastanza complesso". La rappresentante del patronato cattolico avverte il rischio di una "misura demagogica e difficilmente realistica" se il reddito di cittadinanza dovesse essere esteso totalmente all’estero. In ogni caso, secondo lei c’è bisogno di qualcosa, "almeno di una misura di assistenza parallela verso gli italiani all’estero". Un caso ancora più importante sono i connazionali nati in Italia che decidono di rientrare: "Richiedere a queste persone 2 anni consecutivi di residenza per accedere al reddito è totalmente discriminatorio perché è proprio in questo primo periodo che le persone hanno bisogno di un aiuto".

Matteo Forciniti