Luigi Di Maio il de profundis se lo è intonato da solo fin da quando ha scelto, come Ministero da presidiare per conto della Casaleggio ed Associati, quello delle attività produttive e del lavoro, lasciando la passerella degli Interni a Salvini. Sul tavolo del vicepremier pentastellato, si affastellavano dossier scottanti e di difficile soluzione quali quelli di Ilva e Tav, ed intanto, allo stesso tempo, la Lega speculava sui timori della gente, creando paure, promettendo illusorie tassazioni basse, varando decreti liberticidi, schierando i reparti celere nelle piazze del dissenso, strizzando l’occhio alla destra estrema, inviando la Digos a raccogliere il bucato dai balconi.

Quattro telecamere puntate sui barconi alla deriva al largo di Lampedusa, qualche comizio sovranista agitando il Santo Rosario ed il gioco in fondo era fatto. La visionaria follia, che era di Grillo e Casaleggio padre e non certo di Di Maio, Crimi o Taverna, avevano spinto il capo del Movimento 5stelle a credere che quattro squinternati, avrebbero potuto davvero “sconfiggere la povertà “ attraverso misure bislacche quanto irrealizzabili quali il “reddito di cittadinanza”, con tanto di promesse di galera a tutti i furbetti sfaccendati del Sud (e pure del Centro e del Nord). Che poi erano quelli che lo avevano votato.

Alla fine, i limiti di un partito “liquido” che ha fondato la sua ragione d’essere esclusivamente sulla insoddisfazione popolare ma a digiuno di quel patrimonio di competenze che sono proprie dei partiti strutturati, sono venuti fuori prepotentemente. Mentre Salvini ha avuto gioco facile, tra un selfie e l’altro, volando per tutta Italia, a convincere un Paese impaurito che neri e poveri di tutto il mondo ci avrebbero invaso da un momento all’altro. Per fronteggiare le orde africane, il Ministro degli Interni ha promesso agli italiani pistole e madonnine. Ed alla fine li ha convinti.

ANTONIO BUTTAZZO