Data l’accelerazione imposta dai geni della lampada al Governo alla questione, ci vediamo nuovamente costretti a riparlare dei cosiddetti minibot. Trattasi di un piccolo ma micidiale strumento di pagamento con il quale lastricare la strada verso l’inferno del sottosviluppo, sul cui progetto esistono due possibili interpretazioni. C’è chi sostiene, come ad esempio Claudio Paudice sull’HuffingtonPost, che si tratta di una sorta di randello mostrato all’Europa come arma di pressione, senza tuttavia l’intenzione di utilizzarlo veramente.

Oppure, assecondando i propositi espressi a suo tempo dal leghista Claudio Borghi, si intende seriamente portare a compimento il progetto di questa forma surrettizia di moneta parallela, la quale ci farebbe compiere un significativo passo in direzione del Venezuela e di altri Paesi che hanno giocato col fuoco della manipolazione monetaria incontrollata. Ora, sull’argomento, al pari di tante altre questioni gettate sul tappeto dagli attuali maghi del cambiamento, fa parecchio gioco una diffusa disinformazione di massa, resa ancor più nefasta dalla nostra italica avversione a far di conto, ovviamente solo quando si tratta dei quattrini altrui.

A questo proposito risulta particolarmente significativa la dura presa di posizione di Luigi Di Maio, oramai relegato al ruolo di stampella di un Esecutivo sempre più a trazione leghista, nei riguardi del ministro dell’Economia Giovanni Tria, il quale ha recisamente bocciato dal Giappone i citati minibot: "Se lo strumento per pagare le imprese non è il minibot – ha tuonato Di Maio in un post – il Mef ne trovi un altro. Ma lo trovi, perché il punto sono le soluzioni, non le polemiche, né le presunte ragioni dei singoli. Ripeto, una parola: soluzioni!". In realtà, analogamente a tante altre questioni, si sta propalando una balla bella e grossa. Infatti, da qualche anno è possibile farsi rilasciare – probabilmente all’insaputa di Giggino – dall’ente pubblico interessato, la relativa certificazione del credito vantato e poi portarla successivamente in compensazione con eventuali tributi da versare o, in subordine, scambiare il credito medesimo con un qualunque intermediario finanziario, pagando un interesse di mercato.

Dunque, stando così le cose, non sussiste più da tempo la tanto strombazzata emergenza crediti, presa evidente a pretesto per stampare una montagna di titoli di Stato di piccolo taglio. Tant’è che, a quanto risulta sempre dagli ostici numeretti, attualmente si parla di un debito pregresso nei confronti dei fornitori privati di circa 27 miliardi di euro. Ossia molto meno dei circa 80/100 miliardi di cui si parlava in passato. Oltre a ciò, ci sono molti altri aspetti oscuri e problematici legati a codesta cartuccella sovranista.

In primis, ci si chiede, se l’intera platea dei futuri possessori di minibot decidesse di pagarci le imposte, chi e come gestirebbe sul piano materiale questa immensa massa di titoli di credito tornati all’emittente? Inoltre, ricevendo svariate decine di miliardi in questa forma di cripto valuta giallo-verde, questi ultimi come verranno poi registrati nel bilancio dello Stato? (se passasse un simile principio, mi viene da pensare, un domani a qualcuno potrebbe venire in mente di inserire tra le entrate i tappi di bottiglia).

Infine, non sarà che tra le tante aspettative non dette vi sia il tentativo di ricavare nel bilancio pubblico, attraverso valanghe di minibot, uno spazio fiscale per ulteriori misure espansive prive di coperture realizzate dai geni del cambiamento? Ma quale che sia l’intento più o meno nascosto degli ideatori di una simile trovata da cabaret, la sua effettiva realizzazione non potrebbe che peggiorare la nostra già precaria posizione di maglia nera d’Europa. Oltre al danno reputazionale autoinflitto solo per aver fatto circolare una simile scemenza.

di CLAUDIO ROMITI