Il Tribunale dell’Ue ha confermato la nullità del marchio dell’ Adidas che consiste in tre strisce parallele applicate in qualsiasi direzione, "perché l’Adidas non ha provato che tale marchio ha acquisito, in tutto il territorio dell’Unione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne era stato fatto". Nel 2014 l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha registrato il marchio dell’Adidas con "tre strisce parallele equidistanti di uguale larghezza, applicate sul prodotto in qualsiasi direzione". Ma nel 2016 ha annullato la registrazione accogliendo la domanda di nullità introdotta dall’impresa belga Shoe Branding Europe, ritenendo che il marchio "era privo di qualsiasi carattere distintivo".

Oggi il Tribunale dell’Ue conferma la decisione di annullamento, respingendo il ricorso introdotto dall’Adidas contro la decisione dell’EUIPO. Insomma, in un mondo dove si brevettano l’esclusività e l’originalità anche di un singhiozzo, è perlomeno curioso che le tre strisce più famose del pianeta non raggiungano il livello di distinzione necessario a difendersi dagli imitatori. Champagne (farlocco) a fiumi per il made in China così come il made in Naples. E qualche tenero ricordo per i vecchi capi tarocchi targati Adidas ma con le tre strisce a far da garante posticcio. Due o quattro strisce sarebbe stato davvero troppo anche per i più refrattari al fascino del brand. Quelle tre strisce esordirono alle Olimpiadi di Roma, servivano a rinforzare le scarpette degli atleti, finirono per rappresentare un sentimento condiviso: fino all’avvento americano della Nike, furono simbolo e icona obbligati dello sport praticato, dall’atletica leggera tutta al calcio. Prima della mercificazione totale e straripante, un lusso tascabile.