Gli ultimi giorni del ponte, nel decimo anniversario mensile del crollo, sono un po’ tristi, un po’ spettrali e un po’ polemici. Interviene perfino il vice premier e ministro dell’interno Matteo Salvini a dare una spinta all’atto decisivo della demolizione, quello che si potrebbe chiamare il big bang del Morandi, l’esplosione delle pile 10 e 11, dopo il quale tutto non sarà più come prima e la faccia della valle martoriata cambierà definitivamente. E annuncia il vicepremier che sarà a Genova il 28 per assistere al "grande botto".

Salvini si infuria perché il Ministero dell’Ambiente, non a caso il grillino Sergio Costa, stava frenando e avrebbe fatto slittare il Dday, fissato prima al 24 giugno, poi rinviato, temendo che l’inquinamento da macerie potesse essere troppo pesante per la popolazione che vive ancora intorno al ponte. Non sarebbe tutto pronto per la grande esplosione, malgrado il ponte residuale sia stato imbottito di vere e proprie piscine colme di acqua e vesciche liquide siano state piazzare alla base del viadotto per schizzare in alto al momento del boom e frenare l’immane nuvola di polvere che si alzerà all’ora fatidica dalle migliaia e migliaia di tonnellate di cemento e ferro che crolleranno come una montagna dai cento dieci metri di altezza fino a terra, dove già sono state accumulati i detriti delle case, sbriciolate nei giorni scorsi anche per formare un tappeto che attutisca il colpo.

"Dobbiamo mantenere la parola data e procedere rapidamente con la demolizione", aveva urlato da una conferenza stampa Salvini, dopo una serie di frenetiche telefonate con il sindaco Bucci, che da tempo aveva fissato il 24, giorno nel quale si festeggia tra l’altro anche il patrono di Genova, san Giovanni Battista. "Non è possibile che qualche burocrate al ministero stia a cavillare! Abbiamo sbloccato i cantieri e ci facciamo fermare su un’operazione nella quale ci giochiamo tutti la faccia". Insomma un’altra lite tra Lega e 5 Stelle, visto che il ministro dell’Ambiente è, appunto, Sergio Costa, uno dei prediletti di Di Maio, ex generale dei carabinieri forestali. In bermuda e maglietta griffata con l’immancabile scritta Esercito Italiano, da un muretto della passeggiata di Recco, patria della focaccia al formaggio, dove ha un appartamento di vacanza, Salvini aveva poi arringato la folla del sabato di inizio estate, ribadendo il concetto della demolizione subito, malgrado i comunicati del Ministero dell’Ambiente che frenava, mettendo la salute dei cittadini, minacciati dall’amianto prima di tutto.

Il vice premier, in partenza per gli Usa, era stato tanto nervoso da ingaggiare il match polemico con la giornalista di Sky 24, Monica Napoli, che lo incalzava con domande sulla vicenda migranti e Sea Watch e che è stata invitata a darsi alla politica, schierandosi a sinistra. Poi il viaggio in Usa e dopo l’annuncio del blitz a Genova. E così il decimo mese – 14 agosto-4 giugno – dal crollo, si ricorda a Genova in un’atmosfera sospesa tra la sfuriata del leader leghista, i diktat del sindaco, che nel suo linguaggio manageriale insiste sulla best option della data e la mobilitazione del popolo della Valpolcevera, per il quale ora è il momento più delicato dopo dieci mesi di travaglio.

Si sono tenute ben due assemblee il giorno 18 giugno, uno a sud e una a nord del ponte per sentire dal sindaco le novità della colossale demolizione, incominciata a febbraio e ora arrivata al momento chiave, quello nel quale il resto del ponte, lungo in origine 1 chilometro e 180 metro, sospeso a sessanta metri da terra con le carreggiate e a più di cento con le cuspidi delle pile, sparirà dalla sky-line della valle, per lasciare finalmente il posto al cantiere della ricostruzione. C’è un traguardo preciso, sistematicamente evocato dal sindaco-supercommissario Marco Bucci ed è il 20 aprile del 2020, data nella quale "il nuovo ponte sarà percorribile", mentre nel dicembre del 2019, cioè tra sei mesi la nuova struttura, nelle mani di Fincantieri, Italferr e Salini Impregilo, con il disegno di Renzo Piano, "sarà visibile, interamente in piedi, da una parte all’altra della Valpolcevera".

Sono legittime le preoccupazioni degli abitanti, che vivono intorno al cantiere di demolizione e costruzione, oltre 4 mila abitanti. Nel giorno del boom dovranno essere evacuati per quasi 12 ore almeno, con un piano di ricovero che coinvolge la città e ben tre punti di raccolta. Il botto sarà gigantesco e il timore che la nuvola possa essere superiore ai calcoli della vigilia inquieta molto e impegna i demolitori da mesi. Sono stati fatti esperimenti in una cava sulle alture di Genova, impiegando le contromisure adatte ad attutire l’ondata con pareti di acqua nebulizzata e altre misure. Più in generale non sono preoccupati solo gli abitanti delle zone "rosse" e "arancione", diventate la zona calda intorno al ponte, l’occhio del ciclone che sta stravolgendo la vita di Genova da quel tragico 14 agosto, ore 11,36, quando il Morandi è collassato. Tutta la città sta vivendo una nuova fase cruciale, dieci mesi dopo, come se insieme al big bang arrivassero al pettine tutti i nodi di un’emergenza che sta mettendo Genova a dura prova in molti settori della sua vita civile. La demolizione finora è stata più lenta rispetto ai tempi previsti, non di molto ma in ritardo: distruggere costa molto più tempo che costruire e farlo tra case, strade e territorio molto popolato e già duramente provato da dieci mesi di sofferenze e disagi, costa molto, mentre la sensazione di un ritardo consistente incomincia a pesare sulle prospettive della città. Genova non è certo più spezzata come quel fatidico 14 agosto, ma la ferita sanguina ancora eccome. Il porto, vera anima della città, fatica come non accadeva da anni e, anche se non sarà certo solo colpa del crack Morandi, la flessione dei traffici picchia molto. Gli agenti marittimi, per esempio, denunciano una perdita di 400 milioni nei loro traffici. Il tessuto produttivo della città, più in generale, è in affanno, malgrado la spinta continua del sindaco che predica ottimismo: cala ancora l’occupazione di una percentuale ben superiore ai dati nazionali e i flussi turistici sono, comunque, in segno negativo, anche se non nelle attrazioni principali come l’Acquario, che dopo il crollo aveva dimezzato. Le soluzioni alternative per il traffico messe in campo dal sindaco, allora non ancora supercommissario, funzionano da quasi subito, grazie a un bypass stradale rapido e efficiente, ma ora una importante strada retroportuale della città, nell’ombelicale quartiere di Sampierdarena, tra le banchine dello scalo commerciale e il cuore del quartiere, è praticamente diventato un’autostrada e gli abitanti dell’area asfissiano per il continuo viavai di auto e dei Tir. Può essere una soluzione temporanea, guai se diventa stabile, in tempi nei quali la qualità dell’aria è fondamentale. In quei due chilometri di strada il cielo si inquina dei gas di scarico del traffico sommato agli effetti del grande porto con le maxinavi all’ormeggio. Dieci mesi e qualche giorno dopo il crack ci sono anche numeri tenuti "coperti" che alla vigilia delle vacanze estive dimostrerebbero un calo secco nelle prenotazioni sui traghetti che hanno Genova come porto di partenza per le isole. Meglio scegliere altri porti di imbarco per la Sardegna, per la Corsica, per il resto dell’Italia e per le altre sponde mediterranee, dove è più facile arrivare e dove si teme che il crack del ponte provochi intasamenti record, malgrado le soluzioni quasi miracolistiche che Genova è riuscita a creare praticamente dal nulla. In molti ricordano anche con brividi le grandi code ferme sul Morandi in attesa di entrare in città e quindi in porto per salire sui traghetti in partenza durante i grandi esodi estivi. Dieci mesi dopo lo scenario genovese è complessivamente concentrato sul ponte, la sua demolizione, la sua ricostruzione: è difficile che la Superba riesca a pensare ad altro.

Fermo il grande progetto di un nuovo water-front a Levante, ispirato anche quello da Renzo Piano nella zona della storica Fiera del Mare, forse in ritardo la costruzione del Terzo Valico, la linea ferroviaria veloce tra Genova e la pianura padana, che dovrebbe essere concluso entro il 2022, indietro di anni i lavori del nodo ferroviario, decisivi per togliere dall’isolamento la città, che non è toccata dalla Alta velocità, dalle Frecce rosse. E’ come se si trattenesse il respiro in attesa del nuovo ponte e si facesse una specie di conto alla rovescia, aspettando l’ora X, perché tutto si sblocchi. Intanto la data del big bang è stata ed è ancora in parte sospesa. Potrebbe slittare anche dal 28, in attesa che dalla Spagna arrivi un misterioso detonatore per sintonizzare in modo infinitesimale tutte le cariche di esplosivo… Il sindaco, quasi a mitigare l’attesa, ha annunciato che, comunque, il 30 giugno, data storica e fatidica dopo quello del 1960, a Genova arriverà da Castellamare di Stabia, stabilimento Fincantieri, il primo pezzo del nuovo ponte, probabilmente la prima parte dello scafo a forma di nave che sostituirà il cemento compresso del lavoro di Morandi, i cui detriti stanno coprendo la valle Polcevera con distese lunghe centinaia di metri, adagiate all’ombra di quello che fu il ponte.