Riempe tg e giornali l’ondata di caldo che sta colpendo l’Italia e l’Europa. Eppure è una notizia vecchia di 60 anni che va sotto il nome di ‘cambiamento climatico‘. Un nome che in questo caso suona sinistramente simile a suicidio consapevole. Perché sappiamo ormai dagli anni ’50 del secolo scorso quello che stiamo facendo, come sappiamo a cosa ci porterà. Eppure ci stupiamo degli effetti. In altri periodi dell’anno e in altre parti del mondo sono le piogge eccezionali, le bombe d’acqua, le trombe d’aria e in generale i fenomeni atmosferici sempre più violenti ed estremi a rendere visibili concreti i danni dell’uomo sul clima e sul Pianeta. Ora, a fine giugno, è il caldo eccezionale.

Ma la sostanza non cambia ed è la sostanza di un clima sempre meno amichevole nei confronti dell’uomo. Un clima che cambia perché noi, dalla rivoluzione industriale in poi, abbiamo modificato l’equilibrio della nostra atmosfera con i gas serra. E se in principio lo abbiamo fatto in maniera inconsapevole, sono almeno 60 anni che continuiamo a farlo sapendo dove questo ci porterà: al disastro, al suicidio, perché far male alla Terra significa far male a chi la abita, cioè noi. Era il 1958 quando Charles David Keeling, un geochimico della Pennsylvania, effettuava la prima rilevazione sulla concentrazione di anidride carbonica dalla cima del Mauna Loa, un vulcano delle isole Hawaii che svetta a 4mila metri sul livello del mare. I risultati, 61 anni dopo, sono messi nero su bianco sull’indicatore che porta il suo nome, la ‘curva di Keeling’.

All’epoca si viaggiava a 315,3 parti di CO2 per milione di volume (ppm), una misura che indica quanti grammi di una certa sostanza sono presenti su un milione di grammi totale. Nel 2019 il valore è schizzato ben al di sopra delle 400 parti per milione di volume. Numeri che si traducono in altri numeri, quelli dell’aumento della temperatura globale cresciuta di 0,8 gradi celsius dal 1880 ad oggi, secondo dati Nasa, con circa due terzi del riscaldamento che si è consumato solo dal 1975 ad oggi con un tasso di crescita dello 0,15-0,20 gradi centigradi a decennio. Con questo ritmo, avverte il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), si potrebbe registrare una crescita di 1,5 gradi centigradi tra il 2030 e il 2052. La soglia, già critica, rischia di essere sfondata ancora.

Alcuni dati parlano di un incremento tra i 2,8 e i 5,6 gradi centigradi nell’arco di 85 anni. Conseguenze di questo aumento, la crescita del livello dei mari e degli oceani e il conseguente allagamento di alcune zona abitate e non, la desertificazione di altre zone e danni difficilmente anche solo ipotizzabili per quel che riguarda le colture e gli allevamenti. Lo sappiamo eppure continuiamo ad inquinare e a contribuire a tutto ciò. Come se alla guida di una macchina andassimo a tutta velocità verso un muro, preoccupati ma nemmeno troppo dall’impatto, vedendolo, ma senza premere il freno. Le auto, esempio calzante visto che hanno un ruolo tutt’altro che secondario in questa vicenda.

Negli Stati Uniti e in Europa, ad esempio, i trasporti contribuiscono alle emissioni con quote rispettivamente del 29% e del 27% sul totale. A livello mondiale invece, secondo i dati dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti, si stima che il 76% delle emissioni derivi dalla CO2, il 16% dal metano, il 6% dall’ossido di diazoto, più un ulteriore 2% dagli F-gas. Andando ai settori di provenienza, il 25% delle emissioni globali arriva da elettricità e sistemi di produzione calore, il 21% dall’industria, il 24% da agricoltura e deforestazione (tagliando alberi si elimina una fonte di assorbimento della CO2), il 14% dai trasporti, dalle auto agli aerei, il 6% dalle abitazioni.