La cultura e la bellezza dell’arte al posto del ping pong? Il Vaticano imita gli Usa nel bussare alla porta della Cina con un’iniziativa minimalista? Con gli Usa però che questa volta si mettono di traverso e assieme a Putin hanno convinto Matteo Salvini ad attaccare e (tentare di) intaccare Papa Francesco anche agitando rosari, vangeli e il Cuore Immacolato di Maria.

Ma andiamo per ordine... Nel 1971 il presidente degli USA Richard Nixon mise a frutto il casuale incontro su un autobus tra il 19enne americano Glenn Cowan, promessa del tennis da tavolo USA, e il campionissimo cinese Zhuang Zedong durante il campionato mondiale del 1971 tenuto in Giappone a Nagoya, per varare quella che è passata alla Storia come "la diplomazia del ping pong": diplomazia che permise a Nixon di andare in Cina nel ’72 e che portò infine alla normalizzazione dei rapporti tra Pechino e Washington. Se allora il motto ufficioso sino statunitense era "Ping Pong Unites Us", "Il ping pong ci unisce", oggi lo slogan ufficiale sino-vaticano è "Beauty Unites Us–Chinese Art from the Vatican Museum": "La bellezza di unisce-L’Arte Cinese dal Museo Vaticano".

La bellezza delle 78 opere cinesi, per lo più quadri e sculture buddiste, che i Musei Vaticani hanno accettato di fare arrivare nel Palace Museum della Città Proibita, cioè a Pechino nel più importante museo statale cinese, per una mostra che durerà fino al 14 luglio. Poi i 78 pezzi torneranno in Vaticano per essere seguiti dopo qualche tempo da altre opere d’arte cinesi, questa volta del Palace Museum di Pechino per una mostra direttamente nei Musei Vaticani.

Vaticano e Cina hanno avuto per secoli rapporti ottimi grazie ai gesuiti, ordine religioso di cui fa parte anche l’attuale Papa Francesco, ma sono stati guastati nel 1951 da Papa Pio XII che non tollerava la tradizione cinese del culto degli avi e probabilmente pensava che Mao Tze Tung (oggi si scrive Mao Tzedong) fosse influenzabile come i politici europei. La lunga ma non lenta marcia del riavvicinamento è iniziata in sordina e in tono minore, anzi in silenzio, il 20 settembre del 2016, quando i Musei Vaticani sono stati inaspettatamente invitati a Dunhuang, piccola città della Cina al confine con la Mongolia, per partecipare al debutto della manifestazione "Silk Road International Cultural Expo".

Dunhuang è un simbolo storico della Via della Seta, di quella antica ma soprattutto di quella molto ambiziosa in corso di realizzazione, la One Belt One Road nota anche come Nuova Via della Seta: vale a dire, la nuova rotta commerciale e infrastrutturale che il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato nel 2015 per unire l’ex Celeste Impero al Vecchio Continente. Uno dei principi elencati nel 2015 da Jinping come base del progetto prevedeva era proprio l’inclusione di scambi culturali tra gli Stati coinvolti. La presenza a Dunhuang del responsabile dei Musei Vaticani, monsignor Paolo Nicolini, ha segnato l’avvio della distensione nei rapporti.

In pratica, invitando Nicolini la Cina ha riconosciuto di fatto per la prima volta dopo decenni l’autorità del Vaticano. Dopodiché è stato possibile l’accordo ritenuto impensabile: quello tra la Chiesa Patriottica Cinese, nata dopo la rottura imposta da Pio XII, e il Vaticano per la nomina dei vescovi. Dalla sua nascita è stata la Chiesa Patriottica a nominare i vescovi, oggi sono circa 200, senza consultare il Vaticano e il Papa. Con l’accordo provvisorio raggiunto il 22 settembre dell’anno scorso la nomina avviene ora di comune accordo: i cinesi propongono e il Vaticano ratifica, ma può opporre il veto. L’accordo è definito provvisorio perché c’è di mezzo il destino e il ruolo della Chiesa Patriottica Cinese.

Papa Francesco ha cominciato a pensare al riavvicinamento con la Cina dopo il successo del suo viaggio nella Corea del Sud dell’agosto di cinque anni fa, 2014, nel corso del quale lanciò un appello alla riunificazione delle due Coree. Il viaggio in Corea seguiva il miglioramento dei rapporti col Vietnam, dove vivono sei milioni di cattolici, miglioramento ottenuto grazie ai buoni uffici del nostro ex ministro delle Giustizia, il comunista Oliviero Diliberto, presidente dell’Associazione di Amicizia Italo Vietnamita. Questi veloci e importanti riavvicinamenti tra la Cina, ormai chiaramente avviata a tallonare e infine scalzare gli Usa dal ruolo di potenza economica e militare egemone planetaria, e il Vaticano, governo politico religioso della Chiesa cui fanno riferimento oltre un miliardo di esseri umani nel mondo, non è affatto ben visto né dalla Casa Bianca di Donald Trump né dal Cremlino di Vladimir Putin.

Temono entrambi una accelerata in avanti dello sviluppo e dell’influenza di Pechino nel mondo grazie anche al gigantesco progetto della Nuova Via della Seta. Ed ecco quindi che a Matteo Salvini sono arrivati i non disinteressati suggerimenti sia di Putin, da lui molto stimato e che i cinesi li vede come il fumo negli occhi perché molto presenti intanto lungo la Siberia, sia del neo consigliere elettorale per le europee Steve Bannon. Il quale ha colto al balzo l’occasione per tentare di migliorare i rapporti con Trump, del quale è stato direttore esecutivo della campagna elettorale e autorevole membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale per poi cadere in disgrazia nel 2017 ed essere rimosso anche da tale Consiglio.

Le sue dichiarazioni, riportate l’anno scorso nel libro scandalo di Michael Wolff "Fire and Fury: inside the Trump White House" hanno scatenato la furia dell’inquilino della Casa Bianca, tanto che Bannon dovette fare una tardiva ritrattazione di quanto aveva confidato a Wolff. A parte tutto ciò, Bannon è il teorico dell’imposizione dei dazi per colpire l’economia cinese e dello sviluppo attuale nel mondo dei movimenti populisti sovranisti, motivo per cui è convinto che in Italia agitare in periodo elettorale rosari, vangeli e il Cuore Immacolato di Marina va benissimo. E che va benissimo anche mettersi di traverso contro l’arrivo dei migranti e perciò contro la linea di accoglienza e "porti aperti" di Papa Francesco. Infatti Salvini alle europee ha raddoppiato i voti raccolti alle elezioni politiche.

di PINO NICOTRI