II viaggio recentemente compiuto da Matteo Salvini negli Stati Uniti, soprattutto per il modo in cui si è svolto e per i temi trattati, merita qualche riflessione, partendo da una duplice considerazione: a) l'Italia attraversa un periodo di notevoli difficoltà all'interno dell'Unione europea; b) il presidente americano Trump ha infranto una tradizione alla quale tutti i presidenti che lo hanno preceduto - repubblicani o democratici che fossero - si sono sempre attenuti: quella di considerare l'Europa una sicura alleata in nome della comune appartenenza allo schieramento occidentale. Per Trump non è così. Non vogliamo usare la parola "nemica", ma è fuor di dubbio che egli consideri l'Europa, per la sua America, quantomeno "una concorrente".

In questo contesto è lecito chiedersi se le ripetute affermazioni di condivisione della politica americana alle quali Salvini si è lasciato andare, durante la sua visita a Washington, non costituiscano, di fatto, una sorta di atto di ostilità nei confronti dell'Ue. Intendiamoci. Siamo pienamente consapevoli che i nostri partner europei, non ci hanno dato prova di particolare amicizia. Tutt'altro. Basti considerare il modo in cui si sono comportati e continuano a comportarsi nella cosiddetta "questione migranti", abbandonandoci a noi stessi e facendo gravare soprattutto sull'Italia il peso della massiccia migrazione africana verso il nostro Continente.

L'Unione europea, con buona pace dello spirito di solidarietà che dovrebbe animarla e che in questa circostanza, è del tutto venuto meno, ha i suoi torti. E non sono pochi. Ma ciò non ci esime dai nostri doveri di europei, ed è assurdo che, proprio nel momento in cui si determina una frizione tra l'Ue e gli Stati Uniti, colui che si considera il numero uno del governo italiano (e, nei fatti, se non formalmente, lo è) accorra a Washington, quasi a testimoniare una scelta di campo in favore della concorrenza. Viene da pensare, allora, se - come afferma un antico detto - il leader del Carroccio non stia, in effetti, lavorando per il re di Prussia.

Salvini non può non sapere che, qualora l'Unione europea decidesse realmente di dare avvio alla procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia, ciò comporterebbe, per il nostro Paese, conseguenze di incalcolabile portata. Pensa, dunque, che in una simile prospettiva, sia cosa saggia schierarsi dalla parte di coloro che apertamente vogliono metterci i bastoni tra le ruote? Delle due l'una: o Salvini non capisce quali conseguenze può avere il suo atteggiamento o, peggio, lo capisce, ma se ne infischia o finge di ignorare i contraccolpi che può determinare la sua scelta di essere annoverato tra i seguaci del presidente americano.

In entrambi i casi non si può dire che il leader del Carroccio brilli per senso di responsabilità. Per non parlare delle difficoltà nelle quali mette coloro, come il presidente del Consiglio Conte e il ministro dell'Economia Tria (e lo stesso Capo dello Stato Mattarella) che, in queste ore, sono impegnati nel non facile tentativo di stabilire con i vertici comunitari un dialogo che consenta di evitare i gravi pericoli che stiamo vivendo e che ci restituisca un ruolo e una dignità all’interno della comunità alla quale apparteniamo.

OTTORINO GURGO