Gente d'Italia

La fine del posto di lavoro

Il lavoro non scomparirá, ma cambierá, si trasformerá, o meglio, é giá in fase di trasformazione. La nostra societá ha vissuto molti anni con la cultura del "posto di lavoro". E quando si parla di "posto di lavoro", immaginiamo un lavoro fisso, a tempo pieno, per una durata non precisata e con uno stipendio determinato. Questa cultura, faceva sí che molte volte il successo della persona fosse legato al suo "posto di lavoro" e alla durata dello stesso. Piú si aveva un solo posto di lavoro fisso e piú si era stimato dalla comunitá. Ognuno di noi era quello che il "posto di lavoro" significava. E naturalmente in questo contesta, chi non aveva il lavoro fisso, non aveva una presenza spiccata nella societá.

Oggi questo concetto é destinato a diluirsi e non é piú immaginabile un lavoro fisso e per tutta la vita. I giovani lo sanno: alla mia domanda - vorreste lavorare nella stessa  zienda tutta la vita? A vorreste avere un impiego fisso tutta la vita? - gli studenti rispondono con smorfie che dimostrano che non concepiscono fare lo stesso lavoro per anni e anni; anche se quel lavoro fosse accompagnato da promozioni. La realtá é mutevole e quindi anche il lavoro deve essere mutevole. È infatti cambiata la percezione del modello tradizionale di impiego, mentre si trasforma il modo di lavorare e gli interessi dei soggetti. Oggi i giovani appena trovano un lavoro attraente, si mettono subito a cercare un altro lavoro piú conveniente. La fedeltá all’azienda é questione del passato; come tante altre fedeltá, la fedeltá nel lavoro é in crisi. Vi é una nuova logica nei giovani, attenti a costruire la propria "impiegabilitá", cioé quell’insieme di competenze e tecniche che consentirá loro di competere meglio nella ricerca del lavoro, o... dei lavori.

Nel mio posgrado di relazioni industruali alla ORT ho alunni svegli, attenti, pieni di voglia di emergere. Eppure la maggior parte di loro - tutti titolati - non hanno un posto fisso. Si considerano professionisti che accordano con una azienda (cliente) le condizioni di lavoro e conservano al tempo stesso una certa autonomía. Non sono vincolati all’azienda attraverso un normale contratto di lavoro subordinato, il loro vincolo é di natura civile, perché si considerano professionisti autonomi che prestano i loro servizi a un imprenditore, che puó anche essere unico. Chiedo a una psicologa, che seleziona personale, perché si preferiscono coloro che negli ultimi anni hanno lavorato in due o tre aziende, invece del lavoratore che solo ha lavorato per un unico datore di lavoro. Ai miei tempi, il lavoro continuo in una unica azienda era garanzia della qualitá professionale e della serietá della persona. Una persona che saltasse da un posto all’altro non era considerata affidabile. Adesso la prospettiva é cambiata e cosí me lo spiega la psicologa: la persona che ha lavorato in una sola azienda ha una visione limitata della professionalitá; ha preferito la sicurezza del posto stabile alla sfida di nuovi spazi per provare la sua professionalitá. È insomma, una persona che si accontenta di "stare a galla". Mentre chi va da un lavoro all’altro, ha una personalitá inquieta, vincente, dinamica.

Credetemi, non mi é facile adattarmi a questi nuovi criteri. Ma se vogliamo formare giovani, dobbiamo riconoscere le trasformazioni del lavoro e la loro influenza sulle professionalitá future. Non possiamo piú educare e formare per il "posto di lavoro" fisso, e dobbiamo far capite ai giovani che la nuova professionalitá non é solo un "sapere", ma un mix di saperi e competenze. Dobbiamo anche far capire che é necessario "inventarsi" como lavoratori e professionisti per affrontare un mondo competitivo e globale. Altrimenti il rischio é quello di occupare nel futuo vecchi "posti di lavoro" rutinari e con scarse retribuzioni (manovali, badanti, infermieri, etc.), che sopravviveranno. Come dice la collega Vittoria Nervi, l’"impiegabilitá" é la parola chiave e per questa si intende "la conoscenza di tutte quelle capacità di procurarsi un lavoro, mantenerlo o cercarne un altro. Alla base c’è la formazione continua, il life long learning. Puoi tenerti aggiornato chiedendo alla tua azienda più formazione e/o prendendoti la responsabilità in prima persona del tuo progetto di crescita personale e professionale per non farti cogliere impreparato.

Di questi tempi e in questo contesto economico è vitale imparare a vendere le proprie competenze,la propria esperienza e le proprie qualità personali". Dobbiamo quindi imparare. Per insegnare o semplicemente per capire figli e nipoti, e trasmettere le nuove realtá, dobbiamo cambiare il nostro "chip" culturale. Altrimenti saremo considerati sempre di piú, vecchi esempi da museo.

JUAN RASO

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