In una terra di confine appartenuta fino alla Prima Guerra Mondiale all’impero austro-ungarico, si aprono il lago di Resia ed il paese di Curon Venosta, un borgo di due migliaia di residenti perlopiù di madrelingua tedesca. Siamo in provincia di Bolzano, poco prima del confine con l’Austria, in quella Val Venosta conosciuta per le passeggiate in montagna, i castelli, i monasteri, la cultura contadina e anche per quel campanile che emerge prepotente da uno specchio d’acqua, un’immagine che è diventata famosa per la sua unicità e particolarità. L’attrazione turistica di Curon, quella torre imponente di una chiesa sommersa fotografata da migliaia di persone ogni anno, in realtà porta in sé la storia tragica di un paese spazzato via alla metà del Novecento per fare posto ad una diga, lo sbarramento artificiale costruito per fornire l’energia elettrica necessaria per quelle terre del nord estremo.

Tra le montagne e gli alberi, in un contesto naturalistico che non ha nulla da invidiare agli altri paesaggi montani, il campanile risalente al 1357 rimane l’unico superstite di quella volontà politica ed imprenditoriale, un simbolo del borgo sommerso nel 1950 così potente da essere stato scelto come stemma del comune della nuova Curon Venosta. Sotto il regime fascista in tutta l’area dell’Alto Adige iniziò un processo di italianizzazione forzata che prevedeva la messa al bando dell’insegnamento del tedesco nelle scuole altoatesine, il divieto di utilizzare la lingua germanica, il licenziamento dei funzionari tedeschi che lavoravano negli apparati amministrativi. A questo si aggiunse il processo di un’immigrazione "italiana" che, nell’ottica fascista, doveva smorzare gli accenti germanofili delle popolazioni sudtirolesi nonché l’italianizzazione dei nomi e dei cognomi degli altoatesini, cancellando di colpo le radici familiari ed il senso di appartenenza al proprio popolo. Era necessario che la cultura filo-austriaca, veicolata anche dall’idioma, sparisse da queste terre percepite così straniere. Era fondamentale che il patrimonio altoatesino dei saperi e dei costumi venisse cancellato in favore del concetto di italianità, idea che doveva contraddistinguere tutta la nazione dalle Alpi alla Sicilia.

La lingua ufficiale, la lingua di quella terra divenuta italiana soltanto con il Trattato di Saint Germain del 1919, era diventato l’italiano, a salvaguardia del carattere etnico dell’intera popolazione. Come se non bastasse, a questo si aggiunse nel 1923 l’intenzione, da parte della società Montecatini, di costruire una centrale idroelettrica attraverso lo sfruttamento di un bacino artificiale. L’idea era stata lanciata già nel decennio precedente sotto il dominio austriaco ma poi era stata messa da parte. Negli anni Venti si riprese quel progetto che prevedeva la costruzione di una diga, pur non contemplando l’immersione dei paesi di Curon e di Resia. Poi arrivò di nuovo la guerra a bloccare il progetto con il suo carico di morti, la penuria di cibo e la mancanza di finanziamenti. Ma la pianificazione della diga e della centrale idroelettrica riprese nel dopoguerra e la Montecatini portò a termine il progetto nel 1949.

Nonostante l’interessamento e l’opposizione delle popolazioni locali, il sostegno del parroco del luogo Alfred Rieper e l’udienza concessa da papa Pio XII al comitato che era giunto fino a Roma per portare le proprie rivendicazioni, il progetto venne ultimato con il lavoro di 7.000 operai. Il livello dell’acqua fu portato a 22 metri, le stalle, i campi, le povere abitazioni dei contadini che abitavano qui vennero sommerse, centinaia di ettari di terra lasciarono il posto alla modernità ed alla necessità di produrre energia. Le famiglie che persero tutto furono 150, alcune emigrarono, altre accettarono di vivere nelle nuove abitazioni costruite dalla Montecatini sul lato orientale della valle, sradicate per sempre dai loro luoghi. Il lago di Resia venne inaugurato il 28 agosto del 1949 e di quello che c’era prima rimase soltanto il campanile. Ora il lago di Resia, lungo 6 chilometri e posto all’altitudine di 1498 metri, rappresenta il bacino lacustre più grande dell’Alto Adige, un luogo amato dai visitatori e dai turisti che giungono nel borgo per godere delle bellezze e dei silenzi montani.

Il campanile dell’antica chiesa sommersa di Curon, oggi, attira l’interesse di numerose persone che vengono qui per immortalare questa particolarità del luogo. Durante i rigidi inverni, quando il lago si ghiaccia, è possibile raggiungere il simbolo di Curon Venosta a piedi, solcando la coltre di ghiaccio che si forma sul bacino lacustre. Il campanile della chiesa medievale di Santa Caterina è l’unico superstite di quella volontà di radere al suolo un paese, senza il rispetto per la storia, le tradizioni ed i luoghi di una comunità che si è vista togliere quei pochi beni che deteneva. Le case dei contadini – come raccontato magistralmente nel romanzo "Resto Qui" (Einaudi, 2018) da Marco Balzano – sono state distrutte e compensate con poche lire di indennizzo, lasciando centinaia di famiglie senza nulla, senza la loro storia.