Con lo slogan "Uruguay Natural" si promuovono nel mondo le bellezze di un piccolo gioiello del Sud America che può vantare spiagge meravigliose e paesaggi incontaminati. Ma è davvero un Uruguay che rispetta la natura e l’ambiente come narra il racconto autocelebrativo? Ogm, pesticidi, cianobatteri, acque inquinate ed alimenti tossici: è una realtà molto diversa e spesso invisibile quella denunciata durante il seminario organizzato venerdì scorso a Montevideo dalla filiale locale di Slow Food, l’associazione enogastronomica fondata in Piemonte da Carlo Petrini e presente oggi in tutto il mondo per difendere le tradizioni gastronomiche locali. Molteplici gli argomenti trattati durante un’iniziativa che ha cercato di far luce sui danni provocati da un sistema agroindustriale basato su un "modello di sviluppo depredatore" con "gravi conseguenze per le nostre risorse naturali".

La conferenza -la settima del suo genere organizzata- è stata introdotta da Laura Rosano, agricoltrice e coordinatrice uruguaiana di Slow Food: "È sempre più evidente che lo slogan Uruguay Natural è una bugia, basta ricordare solo che lo scorso anno l’invasione dei cianobatteri è arrivata fino alle spiagge del dipartimento di Rocha. Questa è una conseguenza del modello economico che si è imposto negli ultimi decenni e che sta portando nel silenzio generale a un vero e proprio disastro ambientale". A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, sottolinea l’attivista uruguaiana recentemente vincitrice del premio "Coltivare e custodire" in Italia, da parte dei tre principali partiti regna il silenzio più assoluto su questi argomenti: "Questa situazione ci preoccupa molto dato che nessuno tra i candidati più importanti propone soluzioni concrete per difendere le risorse naturali e l’ambiente. La realtà è che hanno una pianificazione del futuro analoga a quella degli ultimi anni e sono disposti ad accettare questo modello economico che distrugge l’ambiente in nome della crescita e dell’economia. Ecco perché noi abbiamo aperto uno spazio di riflessione coinvolgendo la società civile preoccupata da questa tendenza che si è ormai consolidata".

Oltre a un presente già di per sé critico, anche il panorama del futuro desta forti preoccupazione a cominciare dal nuovo impianto di cellulosa della multinazionale Upm fino all’accordo di libero commercio tra l’Unione Europea e il Mercosur: "Si tratta di un modello di economia globale che dimentica le agricolture locali e si basa sul beneficio dei pochi a discapito della maggioranza. Il secondo impianto di cellulosa di Upm nel centro dell’Uruguay provocherà ulteriore inquinamento mentre l’accordo con l’Unione Europea porterà solo a intossicare ancora di più le nostre terre per la piantagioni di soia e mais ogm che serviranno per alimentare animali altrove".

Qualità dell’acqua, ogm, politiche pubbliche di agroecologia, apicoltura e pesca: seppur molto diversi, tutti gli argomenti affrontati durante il seminario sono pienamente collegati tra loro e rappresentano la "diretta conseguenza del modello di sviluppo scelto dall’Uruguay". Dopo l’apertura di Daniel Panario che ha analizzato lo stato delle acque fluviali, la serata è proseguita con l’intervento del professor Claudio Martínez Debat che ha allertato sui rischi degli organismi geneticamente modificati negli alimenti. Emblematico è il caso della soia, la vera regina del business ogm in Sud America (seguita oggi dal mais) che ha portato molti ricercatori a utilizzare l’espressione di "repubblica unita della soia".

In Uruguay una diretta conseguenza di questo sistema è dato dall’uso indiscriminato del glifosato, l’erbicida più famoso del mondo che sta generando forti preoccupazioni tra i tanti agricoltori italiani nel paese e non solo. Proprio l’agricoltura è stata al centro degli interventi di Alberto Gomez e Mauricio Vives: il primo si è focalizzato sulle politiche pubbliche, il secondo sui produttori locali. "L’Uruguay, un paese con 3 milioni di abitanti" -ha osservato Gomez- "produce alimenti per 30 milioni di persone eppure manca nel mercato interno la frutta e la verdura sufficiente secondo le indicazioni dell’Oms di 400 grammi giornalieri: oggi si produce solo il 55% della cifra raccomandata, il resto si importa. È questo il vero problema che dobbiamo affrontare". La crisi dell’apicoltura e l’esperienza della pesca artigianale a Punta del Diablo sono state le altre due tematiche che hanno completato il seminario di Slow Food affrontate rispettivamente da Guillermo Zanetti e Robert Acosta.

Matteo Forciniti