La ragione per cui amo, nonostante tutte le nostre discussioni pubbliche e private, il Senatore Renzi, è che è così magnificamente assorbito da sé, così definitivamente e profondamente un troll, da essere stato sempre capace, fin qui e dal primo giorno in cui si è affacciato nella storia nazionale del Pd, di distruggere tutte le operazioni in corso, incluse le sue. Tuttavia portando in questo modo sempre tutti a un chiarimento. In queste ore è successo di nuovo. Esattamente nella prima giornata di consultazioni il Senatore fiorentino ha fatto sapere, con opinione accolta in pompa magna dai bravi colleghi de Il Fatto, che spiace gente, ma sul Conte bis non sono d’accordo. Cioè il Conte bis. Cioè l’unico punto non negoziabile della lista di condizioni per una trattativa con i 5s, con cui il segretario Pd Zingaretti è salito sullo Scalone d’Onore del Colle per incontrare il Presidente.

Un intervento, quello di Renzi, di destabilizzazione della leadership del segretario, o, se volete, chiamandola con termini meno moderni, una fucilata al capo del partito. Fucilata che è echeggiata in tutta Roma, e che ha avuto buona parte nel complicare una trattativa che si presenta in salita, in ogni caso. Con effetto domino ha provocato al Nazareno un irrigidimento della posizione del Segretario e l’emergere di fatto di una trattativa parallela dentro il Pd; ha confuso, ma anche rafforzato i Cinque Stelle, cui la divisione del Pd ha però fornito nuovo spazio per condizionare Zingaretti; l’odore di un possibile fallimento dell’accordo Pd/5s ha poi immediatamente spinto la Lega a riaprire con i pentastellati, tanto per essere pronti. Insomma, si può dire che ancora una volta il Senatore Matteo Renzi ha rivoluzionato il quadro politico, come aveva fatto poche settimane fa, annunciando che avrebbe lavorato per un governo con i 5Stelle.

Tuttavia, come dicevamo, le strategie di Renzi spesso portano, come abbiamo visto in passato con il fallimento del suo governo, ad ammazzare l’avversario, ma anche se stesso. Anche stavolta infatti, l’efficacia della sua operazione, cioè l’indebolimento del partito nella trattativa, può portare ad ammazzare l’operazione governo con i pentastellati che , poche settimane fa, aveva lanciato lui stesso. Che dire? All’apparenza la mossa di Renzi potrebbe essere spiegata - come spesso avviene in questi tempi in cui la politica è molto complessa - chiamando in causa fattori psicologici (protagonismo, astinenza da potere, ossessioni etc). Ma la brillante mente politica dell’ex leader si muove sempre con una forte logica. Che va capita, a maggior ragione in questo momento così delicato per le decisioni del paese. È ovvio che MR abbia lanciato un’Opa sulla trattativa con i 5stelle, assumendosene la interlocuzione parallela e alternativa a quella del Segretario. L’operazione si fonda sulla maggioranza di Renzi nei gruppi parlamentari, ma il suo peso nella discussione in corso non va visto come una conta numerica, a cui non è necessario arrivare.

I numeri costituiscono il potere di condizionamento che la ipotesi Renzi ha nel rapporto con i Pentastellati: servono a garantire che se Zingaretti dice una cosa, l’influenza del Fiorentino è tale da poter bloccare o ribaltare nei fatti quella posizione. Esattamente come ha sostenuto sul caso Conte, secondo quanto riportato da Il Fatto quotidiano: quel che Zingaretti blocca, io posso sbloccare. In pratica un altro forno nella pancia del primo. Una trattativa soft che indebolisce quella "dura" del segretario" e che ha le potenzialità per divenire un magnete che offre ai disperati Pentastellati un accordo senza dover pagare quasi nessun dazio al Pd; e ai disperati del Pd, pronti ad afferrare una occasione per tornare al governo, un modo per piegare le resistenze di Zingaretti. Una operazione, come si vede, audace, ma brillante. Il meccanismo, una volta in azione, svuoterebbe dal di dentro il ruolo di Zingaretti, dando a MR uno status di protagonista de facto oggi della trattativa, domani del governo. E nel caso di una futura scissione, se fosse ancora necessaria, potrebbe arrivarci con la certezza di aver ammazzato il Pd, e di poterlo sostituire.

Fantasie, direte. Fino a un certo punto, perché quello che Renzi sicuramente capisce è il fattore umano che c’è in politica. Fattore umano non nel senso di "bontà", ma in quello usato da Graham Greene. Gioca infatti in questa crisi la più potente delle spinte che agiscono negli umani: la sopravvivenza. Ho usato in questo blog molte volte il termine "disperati" per definire gli attuali protagonisti della politica. E non mi riferisco tanto ai leader. Pochi, fuori dai Palazzi, oggi capiscono quanto è dirimente questo stato d’animo. Se parlate con i capi dei vari partiti, vi sentirete ripetere "i miei non li tengo: andranno con chiunque pur di restare al governo". E questo è vero per M5s, per Pd, e per Lega. Questo è l’elemento, umano, irrazionale, sostanziale che rende questa trattativa così labile, ondivaga, e, sopra ogni cosa, condizionabile. Come vedete, piacere o meno, tutto questo è una operazione verità, una delle molte cui ci ha portato Matteo Renzi: ci obbliga a fare i conti con la reale condizione di questo Pd. Un partito sconfitto duramente un anno fa, e sulle cui spalle oggi poggia, nientemeno, la responsabilità di cambiar verso all’Italia, diventare il perno di un governo che fa cambiare segno al paese.

L’opera del Senatore Matteo ci obbliga a domandarci con maggiore chiarezza se davvero si può immaginare che un partito così destabilizzato divenga il pivot, l’asse portante, di un govero di stabilizzazione. Il Pd è una Diarchia nei fatti, non solo di uomini ma di idee. In queste condizioni, non può accollarsi nessun compito come quello che gli viene proposto. Se non c’è un chiarimento dentro l’organizzazione, e se non c’è certezza della solidità dell’impresa, la formazione di un nuovo governo che oggi sbandierano come un atto di responsabilità rischia di essere un gesto di avventurismo. Che rovinerà certamente il partito, e farà ulteriori danni al paese. Alla fine, l’operato di Renzi, è un’altra delle buone ragioni per andare a votare subito. L’operazione verità cui ci mette di fronte l’ex premier rafforza l’idea di buonsenso di molti di noi: non c’è nessuna continuità possibile della crisi in corso. Il nostro tempo è dominato dalla guerra, e dalle destabilizzazioni economiche.

L’Italia, come altri paesi, è strappata da anni di lotta politica, dall’emergere di nuove forze e nuove idee, dal corrodersi delle forme istituzionali tradizionale, nonché da una fallita "rivoluzione". La strada da prendere sono i cittadini, e non accordi di Palazzo, ci indichino i loro obiettivi e gli uomini e le donne cui vogliono affidarsi. E se questo significa che vince Salvini, non ne ho paura, così come Salvini dice di non aver paura. Dirò quello che pochi giorni fa proprio dalle colonne di questa testata diceva in merito un vecchio comunista, Emanuele Macaluso: "La manovra politica e parlamentare non può prevalere o essere un surrogato del consenso. Lasciamo stare Togliatti e quella tradizione. Il Pci era per il consenso, da conquistare attraverso la battaglia nella società, e per la manovra", "Io penso che questa destra la fermi con una operazione più ambiziosa e democratica di una manovra di palazzo, provando a ricomporre la frattura tra sinistra e popolo. È in quella frattura che è nata la rivolta di questi anni".

LUCIA ANNUNZIATA