Diciotto anni e dieci giorni oggi. Italiano, altoatesino di San Candido. Segni di riconoscimento, capelli rossi, un ragazzo semplice. Professione tennista. Un metro e ottantotto, settantacinque chili. Secco come un chiodo, però proprietario di mostruosa energia. Tignoso che di più non si può, per dirla tutta. Nome e cognome, Jannick Sinner. Sciatore precoce, molla i bastoncini ritenendo l’esercizio sulla neve troppo pericoloso per i suoi gusti. Tennista per hobby, si definisce, lo diventa davvero a quattordici anni. E per farlo, da solo, i genitori gestori di un rifugio in Val Fiscalina, sotto le Tre Cime di Lavaredo, non possono muoversi da casa, si trasferisce in Liguria, nella rivierasca Bordighera. Babbo e mamma ne assecondano comunque la passione in ogni momento.

Puntate su di lui, ora. In piena scalata, dal numero 324 al 131 del ranking in sei mesi. Puntate sul rosso smilzo di San Candido, il primo tennista nato nel 2001 a entrare nel tabellone di un torneo del Grande Slam. L’Open degli Stati Uniti, l’Us Open sul cemento di Flushing Meadow. Questa notte sfiderà lo svizzero Stan Wawrinka, trentaquattro anni, esperto, frequentatore ormai antico del circuito, che l’Us Open l’ha vinto nel 2016. Il sorteggio non ha detto bene a Jannick Sinner, ma fa niente e niente cambia. Fresco fenomeno italiano, intanto è uno degli undici al mondo ad approdare a un Slam a diciotto anni e ad aver vinto alla sua bellissima età due titoli Channel e altrettanti tornei ITF. D’accordo, da ora in poi si imbatte nei mostri con la racchetta in mano. Nole Djokovic il numero 1, Roger Federer il sempiterno grandissimo svizzero, Rafa Nadal, Thiem, Zverev, e quant’altri. Nessuno s’aspetti che ne metta in riga qualcuno, ma il fatto di esserci, a Flushing Meadow, è una boccata d’aria pura, una cosa meravigliosa, per il tennis italiano.

Il nostro derelitto tennis italiano che recentemente però ha dato segnali di risveglio anche a livello maschile. Fognini al decimo posto del ranking, Berrettini, Cecchinato, Fabbiano, Caruso, e il corregionale di Jannick il rosso, Andreas Seppi. L’Italia non più ai margini, all’ultimo posto della classifica. Al Louis Armstrong di Flushing Meadow lo smilzo italiano è impegnato per la prima volta in vita sua in un match al meglio dei cinque set. Affusolato, elegante, tosto, sfacciato in campo, è in possesso dell’ambizione giusta. I tecnici (non solo Andrea Volpini e Riccardo Piatti, mentori e suoi maestri all’Academy di Bordighera) lo ritengono in possesso della ricetta giusta. Fisicamente e mentalmente, è il prototipo del tennista di oggi e di domani, quando sarà chiamato a dotarsi di più tecnica per resistere ai colpi spietati di grandi avversari e alle botte spietate di un calendario agonistico praticamente infinito. Già ex sciatore, venne scoperto a giocare a Ortisei, e ai tempi non conosceva una sola parola d’italiano. Come spesso succede nelle famiglie di lingua tedesca in Alto Adige. Ma Jannick è una spugna, non impara, assorbe tutto. Un giocatore fresco, con prospettive difficili da disegnare sulla carta. Leggero e potente, ricorda un po’ tutti i giocatori moderni.

Difficile capire come faccia a spingere tanto i colpi con quelle due braccine che si ritrova. Precisione e forza, si avvicina alla palla e colpisce secco e pesante. Dicono di lui, ha le giunture snodate di Djokovic, la morbidezza del gesto di Medvedev, la solidità di Thiem. I mostri sopra menzionati. Agli Us Open approda al tabellone principale dalle qualificazioni. Messi in riga Victor Galovic e Mario Vilella Martinez. A diciotto anni e dieci giorni è il secondo italiano a disputare un major; il napoletano Diego Nargiso il primo. Una storia già piena, la sua. A Roma, pochi mesi fa, le diede di santa ragione a Steve Johnson, anch’egli un predestinato, ammirato e incantato da quel demonio di un italiano che l’aveva abbattuto. Jannick Sinner era al numero 324; il 131, ora. Una macchina di qualità e grinta, a diciotto anni. "Vogliamo che cresca prendendo di petto i problemi, affrontandoli di brutto, non aggirandoli", è il mantra di Riccardo Piatti, gestore dell’Academy a Bordighera. Lui, rosso evidentemente mal pelo, poi è così: non perde finchè non ha perso. Uno tosto. La dimostrazione fresca e lampante è reperibile nell’andamento e nella conclusione del match con l’amico croato Galovic, a Lexington, sul cemento, nel torneo vinto, uno dei tre scelti per preparare come si deve l’Us Open. La schiena a pezzi e due match point da cancellare, non si è battuto, mai dandosi per sconfitto. Anzi vincendo, a un passo dalla sconfitta. Tosto è tosto davvero. E orgoglioso, tignoso, energico. Una roba mai più vista, Jannick Sinner, nel tennis italiano negli ultimi quarant’anni. Wawrinka, lo svizzero, per ora è di un altro pianeta. Però con il rosso d’Italia mai dire mai…

Franco Esposito