Dalla sconcertante, logorroica maratona al Senato sulla crisi di un governo nato da un "contratto" fra ex secessionisti ed ex nullafacenti, sorge un interrogativo immanente: cosa significa "senso di responsabilità" in questa Italia così ben rappresentata nell'attuale parlamento?

Se dovessimo attenerci a quanto ascoltato nel rosso, dorato emiciclo di palazzo Madama, ed esprimere una disamina obiettiva, ci verrebbe da ripetere "non ci resta che piangere" per la pochezza culturale, sostanziale, dialettica e grammaticale degli interventi, a cominciare dal discorso vagamente "didattico" del presidente Conte. Nel tentativo di riprendersi la scena, di accreditarsi di un ruolo di "primus inter pares", di salvare una professionalità accademica svenduta al "ping pong" mediatico dei due "minus habens", ha offerto una tardiva e patetica elencazione di come avrebbe potuto essere e non è stato. Ha bacchettato il leghista per un "senso di responsabilità", che non ha mai sfiorato, d'altra parte, l'azione del suo Governo, fra i più incompetenti ed inaffidabili della storia repubblicana.

Un antico aforisma recita: "Se Atene piange, Sparta non ride". Chi dovrebbe piangere è Giggino da Pomigliano, patetico contorno del premier prima, pedissequo lettore dei "dieci punti", prescrittigli da Grillo e Casaleggio, al Quirinale poi. Per non parlare della sterilità dell'opposizione. Escono tutti rottamati. La squallida e scialba rappresentazione di martedì scorso, infatti, non risparmia nessuno, in un dibattito sterile di idee e contenuti, che è soltanto l'ultimo campanello d'allarme sulla scarsa dimestichezza al "senso di responsabilità" di un'intera, fatiscente classe dirigente politica, incapace di esprimersi con un lessico accettabile sulle modalità necessarie per evitare il baratro.

Dal glossario farneticante e sconnesso di Salvini, a quello titubante dell'ex presidente e magistrato Grasso, agli inopportuni richiami simbolici religiosi e citazioni evangeliche spesso errate, di questa strana "compagnia del rosario", dove il parlamento sovrano diventa un'arida "terra di mezzo" per dare sfogo a schermaglie e ripicche surreali, ad uso e consumo di un pubblico sempre famelico di nuovi stimoli audiovisivi da telenovela, per disinibire la propria "schizofrenia social".

Non ci interessa il dibattito della "lancetta" esibita in Rai 1, sul voto o non voto, un'altra idea "brillante" partorita dai cervelloni del momento, emblematica della scarsa considerazione della tv statale verso l'intelligenza degli italiani. Sono già troppi gli "opinionisti" di regime o quelli di "giornata", pronti a sentenziare su ogni parola al vento, trarre auspici dalle posture escatologiche o dal riscoperto "linguaggio del corpo" di esponenti di partito. Già, i gestacci, le linguacce e gli ammiccamenti sembrano sopperire egregiamente alla inconsistenza del pensiero, alla assenza completa di superiori ideali che aleggia fra gli scanni parlamentari.

In un modo o l'altro, qualsiasi sia l'esito scontato o meno della crisi, sarà una protesi mal riuscita, una sconfitta. Lo ha capito il buon Mattarella, con il suo "ultimatum dei quattro giorni": perché quando si è alla frutta, resta solo il conto da pagare e sarà molto salato! Quel frainteso senso di responsabilità. Un modo tutto italico di interpretarlo. Una "virtù" che non ci appartiene, non è dominante nel nostro Dna, è un carattere recessivo che, a volte, prende il sopravvento per episodici eroismi, in calamità e tragedie come i terremoti.

Ma è sempre espressione di un "motus" atipico della popolazione, una "catarsi estemporanea" con cui mondarci da vuoti personalismi, beceri campanilismi, assistenzialismo e neocolonialismo. Ci piace infarcirci di inutili nozionismi identitari: Fieramosca, il Balilla, Toti e Cesare Battisti, Garibaldi e Mazzini, però rimaniamo ammaliati dalla facile elusività della legge e coltiviamo la disaffezione al rispetto delle regole. Nell'antica Roma, bastava un tribuno della plebe, per arringare la folla rancorosa e invadere il Senato, il cui "ruolo deliberativo" veniva data in pasto agli ignoranti. Oggi, come allora, il senso di responsabilità del popolo resta solo un'idea, una chimèra in un soffio di vento.

ANONIMO NAPOLETANO