Gente d'Italia

Vittorio Bocchi: “Cerchiamo di dare il polso della situazione sulla nostra emigrazione, per seguire le tracce della storia e capire meglio il presente”

Diviso tra una vita da operaio (tecnico responsabile dell’assicurazione qualità presso varie aziende del distretto biomedicale di Mirandola, in provincia di Modena) e la passione, totale, per la letteratura, la ricerca storica e antropologica. Fino al 2012. Poi, il tragico terremoto del 20 e 29 maggio, cancella lo stabilimento dove ha lavorato per diciotto anni e pone delle scelte. Scelte che lo riportano ai suoi luoghi di origine e a dedicarsi completamente alle sue passioni. E così, Vittorio Bocchi crea la MnM Print Edizioni, una realtà dedicata, quasi interamente, alle "Storie di Italiani nel Mondo". Questa è la sua storia. "Sono nato e cresciuto a Carbonara di Po, oggi Borgocarbonara, in provincia di Mantova, praticamente in riva al fiume; di questo casuale fatto anagrafico è impregnata la mia formazione estetica, sociale e culturale. Vivo a Poggio Rusco, paese natale di Arnoldo Mondadori, poco distante da Carbonara e dal fiume. L’avventura editoriale con MnM Print Edizioni è nata nel 2014 con lo scopo di rendere fruibile al pubblico dei lettori quanto di interessante è conservato nei volumi dedicati al tema dell’Associazione Mantovani nel Mondo, ecco spiegato l’acronimo MnM. Tutti testi ritrovati dopo l’oblio di un secolo e più, alcuni rarissimi e da tempo dimenticati. Il marchio è indipendente e gode del patrocinio meramente morale dell’Associazione. Poi, nel 2017, si è aggiunta la linea Amolà".

Iniziamo con il citare i titoli che raccontano la nostra emigrazione… qual è stato il primo?

"In realtà, i primi tre volumi sono usciti contemporaneamente all’inizio del 2015, inaugurando l’attività editoriale: Italiani agli Stati Uniti - emigranti e coloni; Italiani nelle Americhe - discorsi sull’emigrazione; Italiani in Scozia e a Londra - gelatieri, girovaghi e ambulanti. Si tratta di raccolte di testi che vanno dagli anni Ottanta dell’Ottocento ai Trenta del Novecento".

Quali altri titoli vogliamo ricordare?

"Ha riscosso un buon successo tra il pubblico dei lettori La Colonia Italiana in New York 1908 di Ausonio Franzoni, nato nel 1859 e morto nel 1934. Una fotografia delle condizioni dei 560mila italiani che vivevano «accatastati», per usare le parole dell’autore, in tre grandi quartieri della metropoli. Pagine dove è ben descritta la dura realtà dei nostri connazionali nel Paese che li ha accolti, concedendo opportunità, ma anche riservando loro malevolenza e pregiudizi, giustificati in parte dallo strisciante malaffare del quale la colonia era intrisa, come del resto lo erano quelle delle altre nazionalità presenti in quella che lo stesso autore definisce «l’immensa caldaia di una metropoli, intorno a cui gli appetiti si acuiscono, la lotta per l’esistenza inacerbisce e il dollaro regna sovrano». Non mancano certo coloro che invece sono riusciti ad affermarsi, a raggiungere importanti posizioni nel campo del commercio, dell’industria, persino nella cultura, ma sono una minoranza rispetto ai tanti che invece devono lottare quotidianamente per sopravvivere. L’autore scopre i quartieri dove gli italiani trovano il primo alloggio e viene colpito dalla loro condizione, una condizione documentata anche da foto d’epoca che corredano l’edizione".

Per quanto riguarda il Sud America, ha storie da segnalare?

"Certamente, a cominciare da Alla Conquista del Brasile - 1893, sulla rotta degli emigranti, del conte Ferruccio Macola, nato nel 1861 e morto nel 1910. Si tratta di un vivace reportage, forse il primo nel suo genere, tratto dal suo più ponderoso L’Europa alla Conquista del Brasile. La sua penna è sagace, sarcastica e spesso feroce nei confronti di una società meticcia che per un europeo dell’epoca doveva apparire come proveniente da Marte. Ma attraverso il suo sguardo di flâneur europeo piombato in una nazione in piena formazione, dove la presenza italiana iniziava ad assumere i connotati di un vero e proprio esodo, si può entrare nelle atmosfere esotiche di Rio de Janeiro fine Ottocento e tra le mura delle fazenda dove schiere di italiani lavoravano alla raccolta di caffè e zucchero. In appendice, poi, è riportata una preziosa relazione del 1892, a cura del missionario Pietro Colbacchini sui primi colonizzatori italiani del selvaggio Paraná. Una vera e propria epopea della Frontiera. Dell’autore contemporaneo Domenico Capolongo è invece Rotta su Cuba - le esplorazioni e gli italiani sull’isola dal XV al XVIII secolo. Una ricerca storica ben documentata, la quale ci aiuta a capire che Cristoforo Colombo non è stata l’unica figura di italiano presente fin dagli albori nell’avventura del Nuovo Mondo. Molti personaggi di origine italiana sono stati protagonisti dell’esplorazione dei Caraibi e della prima colonizzazione di Cuba e ancora di più, al centro del suo sviluppo economico, sociale e architettonico. Una presenza importante, fino a oggi poco conosciuta, che ancora può essere indagata anche attraverso i cognomi predominanti sull’isola. Segnalo poi una serie di studi da me condotti riguardo a una singolare vicenda di emigrazione argentina, che hanno portato alla realizzazione del documentario dedicato alla figura di un costruttore italiano che ha contribuito a edificare la Buenos Aires liberty che ancora oggi ammiriamo: Francesco Bisighini - ritorno da Buenos Aires. Attraverso una straordinaria collezione di fotografie d’epoca raccolta dallo stesso Bisighini, attivo nella capitale argentina tra il 1888 e il 1903-1904, oltre alle sue realizzazioni, si può vedere uno spaccato della città e della vita in essa condotta anche dagli italiani, tra splendori e miserie. Alcuni anni dopo, il giovane Borges nelle sue prime opere si sarebbe scagliato contro questi gringo, per lo più italiani, rei di aver trasfigurato la sua perduta Buenos Aires. Ma paradossalmente, l’occhio fotografico di uno di loro ce l’ha restituita almeno in parte. Per chi volesse approfondire, consiglio di andare alla pagina dedicata (villa Bisighini) che può trovare sul sito della casa editrice. Approfitto per segnalare proprio il vostro sito www.mnmprintedizioni.com, anche per conoscere tutte le vostre “Storie di italiani nel mondo”.

Oltre alla sua attività come editore, lei stesso ha raccolto e pubblicato storie che raccontano momenti della nostra emigrazione…

"Sì, e devo dire che ha riscosso particolare successo L’altro Italoamericano - la straordinaria storia di Vincenzo James Capone, il fratello di Al Capone. È l’unica biografia uscita in Italia dedicata a un personaggio e a una storia tutta italoamericana che ha dell’incredibile. Ho avuto il permesso dagli eredi di James Capone di poter pubblicare nel piccolo volume alcune fotografie conservate dalla moglie, e la storia che ho raccontato appare quasi come una sceneggiatura di Hollywood, ma è tutto vero. Al tempo del Proibizionismo, colui che divenne il leggendario agente nelle riserve dei nativi americani del Midwest, nonché sceriffo di Homer e poi agente del Bureau of Indian Affairs, altri non era che il fratello maggiore di Alphonse, più noto come Al Capone. Vincenzo, l’unico dei nove fratelli nato in Italia, all’età di sedici anni letteralmente sparito da Brooklyn (fece perdere le sue tracce anche per i familiari), dopo una prima giovinezza on the road divenne appunto un tutore della legge. Negli stessi anni il più noto fratello era intento a costruire il proprio impero malavitoso a Chicago. Mentre Al per la stampa diveniva il «nemico pubblico numero uno», Vincenzo, con la sua nuova identità, Richard Joseph Hart, detto anche "Two-gun", accompagnava come guardia del corpo scelta il presidente degli Stati Uniti e la moglie in visita alle Black Hills. Era tale il suo desiderio di divenire un vero americano della Frontiera, che fece suoi i modi di parlare, di vestire e di atteggiarsi del cowboy pistolero, ispirandosi al divo dei primi film muti di genere western, William Surrey Hart, è proprio la sua figura che campeggia sulla copertina del libro. Era totale l’identificazione con William che Vincenzo arrivò persino a prenderne il nome. Avevano ben ragione coloro che emigravano in America, nel dire che quella era la terra dove tutto poteva accadere. Mais, invece, è un romanzo storico che narra le vicende di tre generazioni di braccianti della campagna sul fiume Po dall’Unità d’Italia alla Prima guerra mondiale, per poi concludersi con il capitolo Destini, che guarda al dissolversi della loro discendenza nel Novecento. Va da sé che in questo lavoro ho messo tutto l’attaccamento alla mia terra, a quelle che sono state le generazioni dei nonni e bisnonni, a un mondo del quale ho intravisto l’ultimo raggio prima del tramonto definitivo. Una civiltà contadina quasi millenaria che nel momento stesso in cui si è affacciata sulla modernità, ha avvertito subito di aver imboccato una strada senza ritorno. E centrali, in questa narrazione, sono le lotte contadine e l’emigrazione avventurosa verso le giungle tropicali del Costa Rica, oltre alla Parigi de Le Sacre du Printemps. Un mondo nuovo in tutti i sensi: sociale, politico e culturale, dove l’emigrazione ha avuto un ruolo centrale".

Parliamo anche dell’ultima pubblicazione, sempre come tema prioritario dell’emigrazione…

"L’America e la mia Gente, di Mario B. Mignone, titolo originale: The Story of My People - From Rural Southern Italy to Mainstream America, edito da Bordighera Press, per la prima volta tradotta in italiano. Tutto ha inizio da una fotografia del 1960 che ritrae il gruppo familiare dell’autore davanti alla Basilica di San Pietro nello stesso giorno della partenza per l’America. Un’emigrazione più recente, rispetto a quella con numeri da esodo di fine Ottocento e inizio Novecento. E tuttavia significativa, perché il protagonista e una parte della sua famiglia approdano in un’America non più alle prese con la sua formazione di potenza sempre in bilico tra l’isolazionismo e la ricerca di un proprio ruolo geopolitico nel mondo. Ma vi arriva nel momento di massimo splendore del sogno americano e di potenza USA, e s’immerge inevitabilmente anche nelle lotte civili e in quella rivoluzione culturale che di lì a poco avrebbe contagiato l’intero Occidente. Fa l’operaio, lo studente lavoratore, frequenta l’università, come tutti i suoi fratelli, e attraversa la New York degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta con tutto l’entusiasmo che si può trovare in un giovane emigrato partito da un podere sopra una collina nei dintorni di Benevento e approdato al centro del mondo occidentale. Dopo il racconto di questa estenuante corsa, l’autore narra del viaggio di ritorno nella sua terra natale, intrapreso insieme alla moglie e alle figlie una ventina d’anni dopo la sua emigrazione, ormai affermato professore. Questo è il suo primo libro di narrativa, dopo una vita accademica dedicata alla storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti e a riflessioni sulla cultura italiana vista dagli Stati Uniti attraverso figure come quelle di Edoardo de Filippo, Pirandello, Moravia, Buzzati, Pavese. Lo stesso autore ha definito questa sua opera «un atto di confessione» e di «autoanalisi»".

Tra i suoi autori, molti vivono all’estero… chi vogliamo ricordare?

"Ho appena citato un’opera di Mario B. Mignone, recentemente scomparso, professore emerito alla State University of New York, fondatore e direttore del Centro Studi Italiani presso la stessa SUNY, membro di varie istituzioni accademiche operanti tra Stati Uniti e Italia e direttore della rivista «Forum Italicum» e della collana di pubblicazioni Filibrary. Ricordo anche Anna Camaiti Hostert, autrice di La Vita nelle Cose che con la mia casa editrice ha debuttato in narrativa: è maremmana e vive e lavora tra l’Italia e gli Stati Uniti. Filosofa, è stata docente presso le università di Chicago, Roma, Los Angeles, New York e Boca Raton (Florida). Nell’alveo degli studi culturali angloamericani e le relative teorie delle identità, la sua ricerca si focalizza sui Visual Studies. C’è poi Antony Julian Tamburri, di cui abbiamo tradotto il saggio Scrittori Italiano[-]Americani - trattino sì trattino no: è decano presso l’Istituto Italiano Americano John D. Calandra. Professore di Lingue e Letterature Europee, i suoi studi spaziano dalla letteratura al cinema, dalla semiotica alla teoria dell’interpretazione e per un vasto spettro di ricerche culturali. Infine, anche Ho Scelto la mia Lingua è di un’autrice che vive all’estero: Anne Pia, è infatti nata e vive a Edimburgo. I suoi nonni materni sono giunti in Scozia nel 1913, provenienti da Viticuso, paese della Ciociaria. Laureata in Lingue, ha iniziato la carriera nell’ambito dell’educazione liceale come insegnante di italiano, francese e inglese. Ho scelto la mia lingua, nella sua versione originale Language of My Choosing ha ottenuto il Premio Flaiano 2018 nella sezione La cultura italiana nel mondo".

Come è avvenuto il contatto tra questi autori che vivono all’estero e la MnM Print Edizioni?

"Nei più svariati modi. Di solito, sono personaggi che comunque hanno già rapporti con l’Italia: accademici, di lavoro o di semplice conoscenza con persone che si occupano di cultura. Nel caso di Anne Pia, invece, sono stato contattato direttamente dal suo editore britannico, dal quale ho acquisito i diritti di traduzione dell’opera, usufruendo anche di un contributo messo a disposizione dal Publishing Scotland, dopo avere presentato un progetto di traduzione e promozione dell’opera sul mercato italiano".

C’è un periodo particolare che viene evidenziato nei libri della sua casa editrice?

"È ovvio che quasi tutti i titoli ruotano attorno agli eventi del Novecento, secolo per eccellenza dell’emigrazione italiana che ha avuto un inizio da esodo alla fine dell’Ottocento. Ma, per esempio, il titolo Henriette de Clèves – il cigno francese dei Gonzaga, di Rosanna Tontini e da me curato, si occupa di una vicenda rinascimentale che comunque pone al centro l’avventura di un personaggio come Ludovico Gonzaga, primo e forse unico italiano a divenire Pari di Francia".

Immagino che lei legga ogni storia che le viene proposta, qual è il criterio che usa per capire se può essere pubblicata?

"Prima di tutto, cerco la qualità letteraria, condizione senza la quale una narrazione, che sia romanzo, biografia, racconto di vita, saggio, nasce per così dire zoppa, e di conseguenza priva di quell’empatia necessaria perché arrivi al lettore come una rivelazione".

Negli anni scorsi ha indetto un concorso aperto anche agli italiani all’estero; tra le storie pervenute, quale è diventata un libro?

"Finora, solo un titolo pervenuto dall’estero è stato premiato con la pubblicazione, ma c’è speranza che ne arrivino altri. Intanto ricordo che si tratta di un concorso editoriale a scadenza annuale al quale possono partecipare tutti coloro che scrivono in italiano. Se magari ci fossero lettori con il classico romanzo nel cassetto, possono partecipare senza limiti di età, nazionalità e lunghezza dell’opera, purché, ripeto, sia scritto in italiano".

Dove si possono reperire le informazioni sui requisiti, la scadenza ed altri dettagli sul concorso?

"È possibile conoscere tutti i dettagli del bando sul nostro sito: www.mnmprintedizioni.com/1/concorso_editoriale_4387027.html. La scadenza è fissata al 31 dicembre prossimo. Aggiungo che c’è una piccola quota di iscrizione da corrispondere per partecipare al concorso".

Si afferma spesso, soprattutto nel mondo della politica, che l’emigrazione è una risorsa, ma nella realtà, ancora c’è scarsa conoscenza non solo del fenomeno, ma della sua rilevanza anche in termini culturali ed economici: qual è il contributo che la sua casa editrice può arrecare in questa direzione?

"Essendo un piccolo marchio, il mio, non può certo ambire a smuovere le montagne. Lo sforzo è comunque teso a focalizzare dal punto di vista letterario un fenomeno dalle mille sfumature e ricadute in più campi della società odierna, cosiddetta globale. Attraverso uno sguardo per quanto possibile imparziale e a trecentosessanta gradi sulle storie degli italiani nel mondo, si cerca di dare il polso della situazione, anche e soprattutto volgendosi all’indietro, per seguire le tracce della storia e poter così capire meglio il presente. Da questo punto di vista il titolo Invasioni, di Enzo Antonio Cicchino, documentarista de La Grande Storia Rai Tre, è un esempio di come si può riflettere sull’intera vicenda coloniale italiana, mettendola in relazione col fenomeno attuale e scottante dei migranti che approdano sulle nostre coste partendo dall’Africa. È un libro che si può leggere come un romanzo, un reportage o saggio; il lettore poi potrà classificarlo come meglio crede. Ma ciò che conta, è il fatto che mette il dito nella piaga delle nostre ansie contemporanee. Si inizia dal futuro, si prosegue nel passato che dialoga col presente, per finire di nuovo nel futuro. Quanti sanno che l’Italia aveva possedimenti anche in Cina? È una ricostruzione storica dell’avventura coloniale italiana che si scontra con il presente delle migrazioni verso l’Europa. L’autore non fa sconti, mettendosi in gioco anche in prima persona, riguardo al destino, spesso grottesco, che continua a far incontrare i popoli divisi e uniti dal Mediterraneo. Riguardo alla politica, un esempio: il citato La Colonia Italiana in New York di Ausonio Franzoni fu una relazione sorprendentemente precisa e puntuale sulla situazione delle comunità italiane a New York del 1908, nel periodo di massima espansione delle stesse, commissionata dal Governo italiano del tempo, Franzoni era un diplomatico, ma di formazione: economista. Lo studioso indicava le possibili soluzioni ad alcuni dei problemi sociali ed economici che il grande esodo aveva provocato nella nazione di partenza degli emigranti, come in quella d’arrivo. Questo dimostra che già all’epoca vi era la consapevolezza, anche nella classe politica, dell’importanza di certe esperienze di emigrazione rispetto ad altre, e dei problemi che il fenomeno creava. Quello che è mancato allora, come manca oggi, sono i conseguenti e coerenti atti politici che tengano conto di quanto emerso da questi lavori d’indagine".

Quali saranno le prossime pubblicazioni?

"Tra quelle in cantiere, credo sia interessante la riproposta di parte delle memorie di Armando Borghi, Un Libertario in America. Il lettore potrà trovarvi un primo capitolo dedicato agli inizi della sua avventura umana: un folgorante quadro della sua Romagna di fine Ottocento. I restanti due capitoli sono interamente dedicati alla sua esperienza di emigrato-rifugiato negli Stati Uniti (1926-1945). Mettendo insieme queste due esperienze vissute nella vita di un ribelle, si potrebbe anche cercare di comprendere un secolo complicato come lo è stato il Novecento, almeno quello italiano. Un altro progetto vedrà la pubblicazione di L’Uomo che si Butta Via, di Giorgio Bertin, artista e poeta che in questa sua opera trasforma in una narrativa intensa e a tratti epica la sua esperienza di vita nelle aree marginali americane a contatto con un’umanità derelitta. Un viaggio che potrebbe apparire come la discesa nell’inferno delle sconfinate discariche a cielo aperto della società del consumismo, ma sorprendentemente capace di esprimere una nuova visione della vita in tempi come i nostri, dove il problema della salvaguardia dell’ambiente terrestre rappresenta il problema dei problemi".

GIOVANNA CHIARILLI

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