Uno strascico di polemiche incrociate tra Italia e Uruguay continua trascinarsi dopo la storica sentenza d’appello del processo Condor: "Il segretario della Presidenza della Repubblica uruguaiana Miguel Toma e l’ex pubblico ministero Mirtha Guianze hanno occultato prove per proteggere i militari e io l’ho dimostrato". È quanto afferma a Gente d’Italia Fabio Maria Galiani che è stato l’avvocato per l’Uruguay nel primo grado del processo di Roma. Emessa lo scorso 8 luglio, nella sentenza d’appello di questo processo sono stati condannati all’ergastolo 24 militari sudamericani per il sequestro e l’omicidio di 43 persone (tra cui 23 di origine italiana) tra gli anni settanta e ottanta nell’ambito della cosiddetta operazione Condor portata avanti nel continente per spazzare via ogni forma di dissidenza alle dittature. Una decisione, questa, che ribaltava completamente quanto pronunciato nel primo verdetto. Dopo la seconda sentenza Galiani è stato oggetto di critiche da parte di diverse persone in Uruguay tra cui il segretario della Presidenza che -come molti- attribuiva il merito delle condanne a dei documenti presentati dal nuovo avvocato dell’Uruguay Andrea Speranzoni. "Ho deciso di difendermi dopo una serie di continui attacchi diffamatori ricevuti da parte dei cosiddetti eroi dei diritti umani, coloro che adesso si attribuiscono presunti meriti per la sentenza d’appello ma che invece hanno continuamente ostacolato il mio lavoro nel processo. In Uruguay sono state occultate prove per garantire l’impunità ai militari e io l’ho dimostrato". Il tutto è partito da un’intervista dello scorso 9 agosto rilasciata al portale Infobae che veniva accompagnata dalla pubblicazione di una serie di documenti. Sono accuse molto pesanti quelle che vengono lanciate contro Miguel Toma e Mirtha Guianze: il primo avrebbe ignorato le segnalazioni sul luogo di sepoltura di un "desaparecido", la seconda avrebbe protetto lo zio Carlos Guianze. Sul primo punto sono emersi in questi giorni nuovi particolari che potrebbero avere risvolti inquietanti. Così lo ricorda Galiani: "Nella ricerca delle prove da presentare, le autorità uruguaiane si rifiutarono di seguire una pista da me indicata. Il militare Sergio Pintado Otero era un testimone fondamentale ma non fu mai preso in considerazione. Eppure lui disse dove si trovavano i resti di Edmundo Dosseti, ucciso e "desaparecido" nel 1982". La cronaca degli ultimi giorni ci dice che all’interno del Batallón 13 sono stati recentemente ritrovati dei resti appartenenti a un uomo. "Una strana coincidenza" riconosce l’avvocato. "Un ritrovamento avvenuto a pochi giorni dalle mie dichiarazioni e proprio nei pressi della zona che avevo indicato". Tornado sull’evoluzione del processo Galiani spiega: "A differenza di quanto fatto dalle parti civili, l’Uruguay non ha voluto presentare appello contro le assoluzioni di primo grado. Toma mente spudoratamente quando dice che l’Uruguay non poteva presentare appello. I documenti che sono stati presentati in appello non sono nuovi, già esistevano, sono superflui ed ininfluenti perchè non aggiungono altro rispetto a quanto presentato durante il primo grado". Se nelle motivazioni della sentenza d’appello verrà stabilito che le condanne sono arrivate in base a questi nuovi documenti presentati dal governo di Montevideo allora "esiste il rischio possibile che la Cassazione annulli il verdetto". Altre gravi affermazioni sono quelle rivolte all’ex presidente della Institución Nacional de Derechos Humanos Mirtha Guianze: "Lei era contraria a includere i militari nell’elenco dei testimoni da sentire nel processo. Un comportamento abbastanza strano che sorprese anche il presidente della Corte come mi disse lo stesso in privato. Era poco credibile che gli unici responsabili della repressione della Marina militare uruguaiana fossero solo i due ufficiali Jorge Troccoli e Juan Carlos Larcebau (quest’ultimo si trova attualmente in carcere in Uruguay). E gli altri?". Il riferimento è a Carlos Guianze, all’epoca capo del Funsa (Cuerpo de Fusileros Navales de Uruguay), che mise nel 1976 Troccoli alla guida dell’S2, il servizio di intelligence della marina. "Davvero possiamo credere che siano stati solo due militari a torturare? Guianze, che era il capo di Troccoli, non è mai stato processato in Uruguay e poi si è scoperto che era lo zio del pubblico ministero Mirtha Guianze". Il mistero si arricchisce con un altro particolare che riguarda la traduzione in italiano di un documento -le dichiarazioni del comandante Alex Lebelpresentato a Roma. Nel testo originale in spagnolo c’è il nome di Carlos Guianze ma nella traduzione il nome scompare e viene sostituito con la parola illeggibile: "In un documento ufficiale certificato dalle autorità uruguaiane e presentato come prova nel processo, il nome del capo di Troccoli è scomparso. Questo è un reato". L’avvocato Galiani appare deluso, amareggiato. Etichettato come principale responsabile della sconfitta sancita nella sentenza di primo grado, oggi fornisce una ricostruzione alternativa rispetto alla narrazione ufficiale che è stata fatta in Uruguay sullo storico processo Condor. "Questa vicenda è tutta una farsa ed è stata usata per fini politici" conclude l’avvocato nel suo j’accuse supportato da una miriade di documenti. "Coloro che mi attaccano non hanno il coraggio di rispondere e dicono che io sono fuori di testa. La realtà è che in Uruguay esiste un sistema finalizzato a coprire i responsabili dei militari e a mantenere l’impunità"