Fine vita, sui giornali e in tv con questa formula si sintetizza in due sole parole l’universo di esperienze individuali l’una non riconducibile all'altra. Comunque, fine vita sia. Ci vuole, serve, è utile, risolve una legge di Stato sul fine vita di ciascuno di noi? Può davvero una legge stabilire confini tra lecito e illecito quando si tratta del rapporto e bilancia tra dolore, speranza, cultura, libertà e morte? Serve, è utile, risolve una legge che ci dica come si può decidere di morire o come non si può mai perché è peccato, anzi reato? Sì, certo un po’ può servire. Ma solo un po’, appena un po’. Può servire a togliere di mezzo al legge che c’è, una legge fatta 90 anni fa quando non esistevano i mezzi e le conoscenze medico-cliniche che oggi pongono il problema. Un secolo fa nessun macchinario teneva in vita nessuno supplendo al suo corpo. Un secolo fa nessuna esistenza poteva essere sostenuta oltre la biologia individuale. Un secolo fa si puniva chi aiutava a morire perché aiutare a morire voleva dire di fatto un po’ uccidere. Niente a che vedere con ciò che oggi si chiama staccare la spina. Niente a che vedere con ciò che oggi si chiama suicidio assistito. E poi un secolo fa era molto diffusa l’ideologia, la cultura secondo le quali la vota del’individuo era di fatto proprietà e pertinenza dello Stato e della Chiesa, non certo dell’individuo stesso. Una legge nuova sul fine vita può servire a togliere di mezzo il fossile della legge che c’è. Buona cosa. Ma piccola cosa. Una legge sul fine vita non risolve. Nessuna legge lo può fare. Le scelte e i diritti e i doveri inerenti al come si decide o no di morire non stanno, non potranno mai stare nel perimetro di una legge. Sì, si può quando la malattia è irreversibile? Ciò che è irreversibile oggi potrebbe non esserlo domani quando la legge ci sarà però ancora. Sì quando il dolore è intollerabile? E chi lo decide quando è intollerabile? E’ misura questa dell’individuo, sua sfera di esistenza e di libertà. Non ci potrà mai essere una tabella con i dosaggi. Nessuna legge potrà mai sopperire al difetto congenito del legiferare sul fine vita. Lo Stato dovrebbe star fuori, restare fuori. Non agevolare, tanto meno impedire la privatissima scelta di ciascuno. Il fine vita è affare esclusivo di chi deve, se vuole, decidere che la sofferenza abbatte la dignità dell’esistere. Il fine vita, il se e come, deve svolgersi nel territorio esclusivo dell’individuo, dei parenti, dei cari, dei medici, della scienza. In questo caso anche l’etica, qualunque etica, se si mette in mezzo fa danno. Figurarsi se si mette in cattedra. Per il fine vita servono e risolvono, se ci sono, cervello e cuore. Il cervello, la razionalità che ci dice come non solo la medicina cambi e quindi ciò che oggi sembra certo e assodato domani forse muta. Fissare dunque la conoscenza e la pratica medica in articoli di legge è voler ingessare l’aria. Non solo la medicina, cambiano anche i precetti religiosi, chiunque avesse reale conoscenza della sua religione vedrebbe con evidenza che i precetti sono prodotti umani, storicamente datati. Quindi non c’è nessun precetto eterno e fuori dal tempo. Non lo dicono i non credenti, lo dice la storia ufficiale delle religioni. Se ci fosse cervello… Il cervello, la ragione per dirci la brutalità del voler imporre ad altri quella che una scelta propria. Semplice, razionale: chi vuole sopravvivere in qualsiasi modo libero di farlo. Chi non vuole, libero altrettanto. Il cervello, la ragione e il cuore. Il cuore inteso come empatia con il prossimo. Il prossimo che non può essere obbligato a fare come dico io, pretendo io, comando io. Un Io che si traveste da Dio. C’è poco cuore, nessun cuore, c’è anzi protervia e prepotenza verso il prossimo nel cattolicesimo che in materia non vuole far proseliti ma sudditi. Integralista al pari di militanze religiose che ci fanno paura è obbligare alla sofferenza come dono di dio anche chi in quel dio non crede. Integralismo e non difesa dei valori è la preventiva minaccia dei medici cattolici: guai a fare una legge contro la nostra fede. Fede? In questo caso più propriamente ideologia. E se il paziente non ha la stesse fede del medico cattolico, il medico cattolico che fa, lo converte? Magari spiegandogli che il dolore è la medicina che gli purificherà l’anima? Fine vita, più che una legge occorrono ragione e cuore. Scarseggiano entrambi mentre la legge latita. Per relativa fortuna c’è in giro una dose sufficiente di ipocrisia. Senza dirlo, senza che appaia ogni giorno in Italia in qualche famiglia si pone il problema, si affronta la scelta. Quindi si parla col medico. Medico di fiducia, medico amico. E talvolta in una dimensione appunto umanamente ipocrita il fine vita si fa ma non si dice. Per il bene e la libertà di chi, potendo, sceglie cosa fare del suo fine vita quando la vita è non vedere, respirare da una macchina, non essere in grado di parlare né di deglutire, arti immobili o anche solo, se mai si può dire solo, sofferenza fisica immane, quotidiana, permanente.