La questione del vincolo di mandato torna prepotentemente alla ribalta, come sempre quando una caratteristica endemica del sistema politicocostituzionale italiano, il trasformismo, rischia di travolgere le alleanze tra partiti e la loro stessa consistenza attraverso i cosiddetti "cambiamenti di casacca".

Come sempre, la Costituzione viene tirata per la giacca , a volte strattonata, per indurla a dire il contrario di quanto vi si afferma perentoriamente all’articolo 67: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Come superare l’impasse costituzionale, senza stravolgere il principio – pilastro di ogni regime democratico parlamentare – sancito dall’articolo 67?

Due brevi considerazioni. Il "mandato" di cui è investito un membro del Parlamento si manifesta sotto due aspetti distinti: quello, strumentale, ricevuto dal partito che lo ha fatto eleggere e quello ricevuto dagli elettori che, designandolo direttamente o meno, gli hanno affidato il compito di rappresentarli. Il primo aspetto ("dipendenza" dal partito) sembra dover cedere – in base all’art.67 Cost. – alla libertà di espressione del parlamentare. Una diversa soluzione non potrebbe che passare attraverso una modifica costituzionale, che sanzionasse il "cambiamento di casacca" con la perdita automatica del seggio. Diverso discorso per il secondo aspetto, che riguarda la dipendenza diretta dall’elettorato il quale – attraverso il voto – ha riposto la sua fiducia nel parlamentare "dissenziente". Qua entra in gioco la rappresentanza della Nazione e la fonte stessa del mandato, ricevuto non dal partito, ma dal corpo elettorale.

In caso di dissenso o addirittura di fuoriuscita dal partito, è quindi al corpo elettorale (nello specifico, gli elettori della circoscrizione interessata) che potrebbe in astratto, senza ledere il principio costituzionale , chiedersi di confermare o meno attraverso un referendum la fiducia nei confronti dell’eletto. E’ l’istituto – ampiamente praticato da altri sistemi di democrazia parlamentare, quelli anglosassoni in particolare – del cosiddetto recall, o "richiamo" della persona già eletta a ricoprire una carica pubblica. Attraverso il recall, su richiesta di un certo numero di cittadini e attraverso un referendum da indire nel collegio elettorale, il parlamentare può essere privato dell’incarico prima dello spirare del termine per il quale è stato eletto.

Il recall, recentemente proposto da noi per la figura del sindaco, non pare contrastare col principio costituzionale. In questo modo, infatti, verrebbero rispettati sia il principio della rappresentanza popolare che quello dell’autonomia e indipendenza del parlamentare, le cui scelte (principale quella di "cambiare casacca") potrebbero sempre venire sottoposte alla valutazione dei suoi elettori, e non a quella – discutibile – di una qualsiasi "piattaforma".

di MICHELE MARCHESIELLO