In questi giorni è ricorso il cinquantesimo anniversario dalla morte del generale Ezio Garibaldi, figura che deve far riflettere sulle vicende dell’Italia, nata dal Risorgimento, nel XX secolo. Le celebrazioni ufficiali, con picchetto d’onore dei granatieri di Sardegna in uniforme storica e banda di Roma Capitale, si sono svolte venerdì scorso, al Mausoleo ossario dei caduti per Roma, sul Gianicolo. Monumento da lui voluto ed edificato, nel 1941, per raccogliere, nella cripta, i resti di tutti coloro i quali caddero per Roma libera, dal 1849 al 1870, attorno alla tomba di Goffredo Mameli. Celebrazioni organizzate dalla Società M.S. Giuseppe Garibaldi e dall’Istituto internazionale di Studi Giuseppe Garibaldi.

Ezio Garibaldi nacque il 2 gennaio 1894, ultimo maschio di Ricciotti Garibaldi (quarto figlio dell’Eroe dei due mondi). Nel 1912, mentre frequentava le superiori in Fermo, lesse che il padre era sbarcato nei Balcani, con la legione garibaldina, per unirsi ai greci nella Guerra d’indipendenza contro i turchi. Fuggì, raggiunse il padre e si fece onore. Nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, raggiunse la Francia per combattere, colla Legione garibaldina, sulle Argonne, dove vide cadere i suoi fratelli Bruno e Costante. Nella primavera del 1915, sceso in guerra il Regno d’Italia, entrò nel Regio esercito, come capitano degli Alpini. Il 13 luglio del 1915 fu iniziato massone, nella loggia Francesco Guardabassi di Perugia. Sul Col di Lana, il 26 ottobre del 1915, venne trafitto alla gola da una pallottola; eppure, sanguinante, continuò a combattere. Miracolosamente si salvò. Di nuovo ferito, in modo grave, venne posto definitivamente in congedo, ed insignito della medaglia d’argento al valor militare.

Prima della guerra, d’idee socialiste, collaborò con l’Avanti!, allora diretto da Benito Mussolini; dopo questo militante interventismo, scrisse sul Popolo d’Italia, diretto dallo stesso. L’esperienza della guerra e del primo dopoguerra lo convinsero d’una inadeguatezza del socialismo per una nazione quale l’Italia d’allora, bisognosa d’ordine sociale e politico per consolidare l’indipendenza conquistata col Risorgimento. Vide, però, l’avvento del fascismo dall’estero. Nel 1921 fu a Città del Messico, rappresentante d’una società nordamericana. Nel 1922 ricevette oltreoceano la notizia che il direttore dei giornali sui quali aveva scritto era diventato capo del governo. Benito Mussolini, alla fine dell’anno, gli attribuì l’incarico d’inviato straordinario, col rango di ministro plenipotenziario, di svolgere missioni tecnico commerciali. Tornò in Italia nell’aprile del 1924, restò turbato dal delitto Matteotti ed opportunamente da quel punto di vista, il governo lo inviò in missione nel Perù. Una brutta broncopolmonite gli impedì di partire, ed allora si ritirò a Riofreddo, il comune ad una sessantina di chilometri da Roma dove nacque, e del quale allora fu eletto sindaco e poi nominato podestà. Intanto, acquistò i macchinari per la stampa d’una rivista colla quale ridare vita al garibaldinismo, in modo autonomo rispetto le organizzazioni fasciste che stavano egemonizzando il panorama italiano. Continuò, peraltro, a ritenere quella dittatura, temporaneamente, alla romana, utile a consolidare l’ordine sociale e politico della nazione.

Il primo numero del mensile Camicia rossa uscì il 12 luglio del 1925. Attorno alla testata, ed alla Società di Mutuo Soccorso, radunò i combattenti, fino alla prima guerra mondiale, nella Federazione nazionale volontari garibaldini. Accolse, come rappresentante di queste organizzazioni autonome, la candidatura fascista al Parlamento. Fu eletto deputato nel 1929 e nel 1934, consigliere nazionale nel 1939. Questa ultima elezione cadde in un periodo molto aspro. Sia con articoli su Camicia Rossa, che con durissimi interventi parlamentari, Ezio Garibaldi s’espresse contro l’alleanza dell’asse col Terzo Reich nazionalsocialista, con espressioni sprezzanti verso i nazisti. Fu oppositore altrettanto duro delle leggi razziali, nella votazione sulle quali non solo votò contro, ma lo fece con dichiarazioni senza mezzi termini. Venne espulso dal Partito nazionale fascista, ma il provvedimento non fu convalidato da Benito Mussolini, che anzi s’adoperò, nel 1941, per la costruzione del Mausoleo sul Gianicolo. Alla caduta del regime, venne internato nel campo di concentramento di Padula, ma liberato in seguito ad una sentenza nella quale s’attestò la sua estraneità e contrarietà alle misure liberticide della dittatura.

Nel dopoguerra non poté certo riconoscersi nella sinistra socialcomunista a guida stalinista. Ci si ricordi come Pietro Nenni, a capo dei socialisti e non dei comunisti, venne decorato colla stella di Lenin. Nemmeno si ritrovò negli ambienti clericali democristiani, cofondatore, con Arturo Labriola, della massoneria di Palazzo Brancaccio. Nel 1952 venne eletto come indipendente al Consiglio comunale di Roma; nel 1958 si candidò alla Camera per il Partito monarchico popolare. Partito che si propose, in funzione anticomunista, un accordo colla Democrazia cristiana ed il Partito liberale italiano, per formare una maggioranza governativa di centro-destra. Insomma, la proposta d’un ritorno alla democrazia con la costituzione di coalizioni alternative e non con equivoche alleanze al centro, come invece alla fine vollero i democristiani. Questa è una vita che deve far riflettere i liberali. La libertà dei singoli, degli individui, si concreta nella libertà della persona, del domicilio, del pensiero e del culto, dell’insegnamento, della stampa ed in genere dei vari mezzi di comunicazione sociale, di associazione e di riunione, di corrispondenza epistolare con disparati mezzi, d’impresa e di proprietà. A fronte di questa, per ognuno, si pone quella degli altri suoi simili; ma anche la libertà sociale e collettiva, delle categorie, delle nazioni, libere federate alleate o comunque organizzate o no che siano, del complesso della specie e delle specie in natura. Vi è l’esigenza di delimitare la prima, la libertà individuale, colla seconda, la libertà sociale.

Da questo nacque, negli ultimi secoli, il socialismo. I partiti non totalitari, si organizzano a difendere, in preferenza, o la libertà individuale o quella sociale; ma nel gioco delle parti rappresentano, prima o poi, interessi contro interessi. Di qui la sensazione, fondata, che non siano disinteressati. Che le loro idee siano ideologie, costruite da fabbriche del pensiero.Da qui il sentimento, o meglio il risentimento, che porta a sostenere chi si presenta come antipartito, in nome della totalità dell’interesse comune, pubblico. L’antipartito è sempre totalitario, vuole il trionfo della totalità sui singoli interessi; cioè, alla fine, sui singoli individui. Reprime fatalmente la libertà. Non si può invocare la libertà personale per concedersi il vizio; fumare fa male. Non può opporsi la libertà del domicilio alla polizia, chissà cosa o chi nascondi in casa. Che libertà di pensiero e di culto, le sette sono pericolose e minano il pensiero. L’insegnamento si deve svolgere secondo i programmi. Bisogna controllare la stampa pornografica e, poi, su internet circola di tutto, non solo la democraticissima piattaforma Rousseau.

Un’associazione culturale può essere, invece, sotto mentite spoglie, un’associazione per delinquere, ed una riunione potrebbe essere sediziosa. Si controlli la corrispondenza, che non contenga "pizzini" mafiosetti. La libertà economica non implichi quella di utilizzare il contante, perché rende difficile la tracciabilità, etc. Le scuse pel totalitarismo sono infinite. Bisogna essere sentinelle militanti contro questa perenne tentazione. Costituire coalizioni politiche contrapposte per evitare la melassa compromissoria totalitaria, e però essere guardiani della libertà anche in esse. Grazie a: Daniele Arru, presidente della Società di M.S. Giuseppe Garibaldi; a Franco Tamassia, presidente dell’Istituto di Studi Internazionale Giuseppe Garibaldi; a Giuseppe figlio di Ezio Garibaldi e direttore dell’Istituto, al dottor Cartocci, i quali, in un luogo suggestivo e sacro alla libertà, hanno consentito questa riflessione.

RICCARDO SCARPA