Fabbriche in Italia chiuse da proprietari stranieri. Multinazionali che hanno cambiato idea o diversificato la produzione, destinandola nelle intenzioni in Paesi in grado di assicurarne l’esistenza magari a prezzi stracciati. Fabbriche delocalizzate, penalizzati i lavoratori italiani, e chi se non loro? La Whirlpool alla periferia di Napoli, la Bekaert a Figline Valdarno, Toscana: 410 operai e 534 lavoratori dell’indotto coinvolti a Napoli, licenziati, finiti sul lastrico; 211 alla Bekaert, candidati a finire in mezzo a una strada a Natale. Aziende in crisi e la voglia ferma dei lavoratori di diventarne gestori o padroni. La scommessa che si chiama "worker buy-out". Gli operai disposti a comprare Bekaert; i lavoratori disposti a salvare la Whirlpool. La Whirlpool in mano agli operai. La mossa è allo studio del governo. Se non ci saranno alternative, il progetto coinvolgerà Invitalia, per la produzione di lavatrici. La cassa integrazione, alla Bekaert, termina a fine anno. Non si intravvedono soluzioni per i 211 dipendenti della multinazionale belga. Assistiti da un advisor di Legacoop, i lavoratori ora vogliono rilevare l’azienda. Inviato al Mise il piano industriale. Laddove appare lontana, sbiadita, praticamente inesistente l’ipotesi dell’azienda bielorussa sbandierata dall’ex vice premier Luigi Di Maio. Un’offerta diventata di giorno in giorno sempre più incerta. Laddove non viene esclusa la possibilità che a Bekaert possano interessarsi altri compratori. Forse Trafilerie Meridionali. La Toscana ha fatto quadrato anche in questo caso. Settanta soci sono pronti a diventare cooperativa. Altri potrebbero entrare, ventuno nuovi assunti. Il piano prevede l’acquisizione dello stabilimento, con 40mila euro di scomputo per ogni lavoratore che rientra, e la riattivazione di tutto per riavviare in parte la produzione storica di street cord fino a 12mila tonnellate l’anno. Ma non da soli: con importanti partnership già verificate. L’investimento iniziale sarebbe di 6 milioni, versati dai lavoratori ottenuti attraverso i sistemi finanziari del sistema cooperativo. Tempo previsto per andare a regime, dagli 8 ai 10 mesi. Vicenda Whirlpool. "Non accettiamo il diktat da chi ha firmato un accordo e dopo qualche mese lo disattende unilateralmente. Interverremo", mette un punto fermo la sottosegretaria allo Sviluppo Economico, Alessia Morani, in quota Pd. Fonti del governo sottolineano che la strada del "workers buy-ou" verrebbe praticata qualora la Whirlpool dovesse confermare, il primo novembre la chiusura dei cancelli dell’impianto napoletano. Una Ipotesi peraltro molto concreta: il vertice di palazzo Chigi è naufragato miseramente. Mai presa in considerazione l’ipotesi della riconversione industriale e il trasferimento della fabbrica dalla multinazionale Usa al gruppo svizzero Prs, a guida italiana. Obiettivo la produzione di frigo-container e l’affiancamento di un altro partner italiano. La distanza tra le parti sembra comunque ormai incolmabile. Al ministero dello Sviluppo, infatti, si lavora intorno al progetto "workers by-out", che tornerebbe utile per confermare a Napoli la produzione di lavatrici. Un modello di salvataggio. In Italia, le 100 imprese del settore manufatturiero, con la cosiddetta "legge Marcora", attuata nel 1985, dal nome dell’ex partigiano e ministro dell’Industria nel governo Spadolini. Le norme mettono a disposizione strumenti finanziarti di supporto per i lavoratori di un’azienda in crisi. Quei lavoratori che decidono di formare una cooperativa. In verità, prima degli operai Whirlpool, hanno tentato la carta dei finanziamenti dal fondo nazionale anche i lavoratori della Bekaert. Ma il progetto della fabbrica toscana di fili di ferro abbandonata dalla multinazionale belga non è decollato. In Toscana sono comunque intenzionati a riprovarci a breve. La scansione dei tempi potrebbe essere questa: se Whirlpool avvierà dal primo novembre le procedure di cessazione di attività e di licenziamento collettivo, ci saranno poi 75 giorni di confronti a vari livelli. Durante i quali, in teoria, ma molto in teoria, si potrebbe anche scongiurare la chiusura dello stabilimento di via Argine, Napoli. Una disgrazia, anzi di più. Una sciagura per i 410 operai diretti e 534 dell’indotto ieri mattina in corteo dalla fabbrica al Palazzo del Governo, in via Santa Lucia. Una marcia compatta, composta ma densa di rabbia, per esorcizzare la sciagura in arrivo. E proporre la mossa al Governo: la Whirlpool datela a noi.