Riciclaggio, truffa, peculato. I reati contestati ai cinque dirigenti vicini alla segreteria di Stato. Già partita, l’indagine prosegue implacabile, come da disposizione/ordine di Papa Francesco. Sullo sfondo chiari i contorni di una guerra senza esclusione di colpi. Amico del Pontefice fin dai tempi di Buenos Aires, il direttore generale dello Ior, la banca vaticana, Gian Franco Mammì, ha lavorato con l’obiettivo preciso di arrivare alla denuncia penale dei cinque dipendenti. Oggetto della denuncia e dell’indagine, alcune operazioni immobiliari a Londra. Il tesoretto del Vaticano speso in maniera impropria. I dirigenti ora sotto accusa "compravano palazzi con i soldi per i poveri". Bersaglio della guerra interna la vecchia e la nuova gestione della segreteria di Stato vaticana, dall’ex sostituto Angelo Becciu al successore Edgar Pena Parra. Le carte pubblicate dai magistrati chiarirebbero l’oggetto del contendere, al di là dell’operazione illecita.

Secondo quanto risulta al settimanale l’Espresso, il tesoretto in dotazione alla Segreteria sarebbe stato appunto distratto per operazioni discutibili. Si tratta di fondi extrabilancio ma leciti, come dichiarato a suo tempo da padre Federico Lombardi, ex portavoce vaticano. "Seicentocinquanta milioni di euro derivanti in massima parte dalle donazioni ricevute dal Santo Padre per opere di carità e per il sostentamento della curia romana". Cinque persone vicine al dicastero guidato da Pietro Parolin hanno operato all’insegna di "gravi indizi di peculato, truffa, abuso d’ufficio, riciclaggio e autoriciclaggio". Dicono questo le carte in possesso dei magistrati. I soldi, non pochi, sono serviti per finanziare l’acquisto di immobili a Londra attraverso la copertura di società offshore. I soldi rientrano nelle disponibilità dell’Obolo di San Pietro. I cinque dirigenti, estremamente disinvolti, invece di girarli ai poveri li hanno investiti in operazioni speculative. Fondamentale viene ritenuto l’apporto di Credit Suisse, "nelle cui filiali risulta versato il settantasette per cento del patrimonio gestito". Qualcosa come 500 milioni, segnala l’Ufficio del revisore generale vaticano.

Soldi finiti in operazioni che mostrano "vistose irregolarità", conferma la magistratura inquirente, oltre ad aprire "scenari inquietanti". Come se si trattasse di momenti classici nel quotidiano della politica italiana, non della Chiesa, del Vaticano, peraltro non nuovo, decisamente non vergine, alle vicende opache. Nell’intento di fare chiarezza, può tornare utile ricorrere alla storia. La segreteria di Stato, da sempre, gestisce un suo fondo. L’articolo 172 della Pastor Bonus, la Costituzione pontificia, affida all’Apsa la titolarità dei beni. Spesso però succede che sono i singoli dicasteri a gestirli. La segreteria, per l’operazione su Londra, ha dovuto chiedere un anticipo di 150 milioni allo Ior. In conseguenza della richiesta, la banca vaticana ha chiesto l’intervento della magistratura inquirente. Sul tesoretto messo insieme con i soldi destinati ai poveri aveva tentato di mettere le mani il cardinale George Pell, all’epoca, nel 2014, prefetto della Segreteria per l’economia.

Fu proprio Pell, prima di cadere in disgrazia per l’accusa di abusi sessuali su minori in Australia, a denunciare l’esistenza di fondi contabili per circa 1,3 miliardi. L’informazione fu pubblicata sul Catholic Herald. E fu ancora Pell a tentare la demolizione del potere di un dicastero, la segreteria di Stato. Tentativo che impose già a Paolo VI la necessità di avocare a sé i dossier più importanti. E tutto passò al suo vaglio. Benedetto XVI, poi, annunciò la volontà ferma di procedere a una riforma della curia. Papa Francesco sta portando la sua, una personalissima drastica riforma. Anche se, di fatto, la segreteria di Stato conserva quasi intatto il suo potere. In Vaticano è guerra infinita, come da secolare tradizione della Chiesa. L’antico amico del Papa, il sodale Gian Franco Mammì, ha toccato situazioni, persone, dicasteri, dentro i quali mai nessuno aveva messo seriamente le mani. Normale che, di conseguenza, si sia aperta una stagione di nuovi leaks e faide interne.

Esagerazioni? Proprio no: le carte riservate escono dai sacri palazzi con incredibile facilità e straordinaria disinvoltura. Pare che di riservato in Vaticano non ci sia più nulla. Lo scenario presenta fazioni in guerra fra loro. I soldi per l’operazione immobiliare a Londra sono stati affidati a Raffaele Mincione. Un imprenditore italo-inglese introdotto negli ambienti della Santa Sede dal cardinale Tarcisio Bertone. Proprio lui il porporato presente, in qualità di protagonista diretto, nella opaca vicenda di un super appartamento, nel centro di Roma, acquisito e occupato e restaurato con i soldi del Vaticano. La verità storica racconta che molti degli uomini portati dal porporato piemontese in Vaticano sono stati epurati negli anni. Mincione no, ha potuto godere ancora della fiducia di alcuni esponenti della Santa Sede. Mentre il tentativo di repulisti negli uffici del Ior rinnovato da Papa Francesco non è ancora completato. Semplicemente perché decifrare tra buoni e cattivi è impresa ardua per molti. Traumi e ferite provocate dai Vatileaks sono ancora aperti. I veleni si intrecciano con la crisi finanziaria. La Santa Sede sarebbe sul bavero del fallimento. I bilanci in rossi sono sul le cose. tavolo del Papa, al centro di sabotaggi della sua opera di cambiare Il deficit è cresciuto di 63 milioni nel budget 2019, un aumento esponenziale del 197,8%.

Franco Esposito